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> Control, Anton Corbijn racconta i Joy Division
Jolly_roger
messaggio 26 Jan 2008 - 14:33
Messaggio #1


Tanta Roba
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Control, Anton Corbijn racconta i Joy Division


...I guess you were right, when we talked in the heat,
Theres no room for the weak, no room for the weak...
Joy Division, Day Of The Lords



Anton Corbijn (Strijen, Olanda, 1955), già stimato fotografo nonché apprezzato autore di videoclip (Depeche Mode, Nick Cave, Nirvana tra gli altri) ha appena esordito con il suo primo lungometraggio, Control, aggiudicandosi il premio per il Miglior Film Europeo nella sezione Quinzaine des realisateurs del Festival di Cannes.

La pellicola è ispirata a Touching From A Distance, il libro di Deborah Curtis in cui l’autrice racconta la vita del marito Ian Kelvin Curtis (nato il 15 luglio 1956 e morto suicida all’età di 23 anni il 18 maggio 1980), frontman dei Joy Division.

Grazie al carisma del suo leader, ai suoi testi aperti su scenari postindustriali e apocalittici, memori di influenze letterarie che spaziano da Franz Kafka a Fedor Michajlovic Dostoevskij, da William Seward Burroughs a James Ballard e grazie a quella danza spigolosa che Curtis inscenava sul palcoscenico evocando in maniera sconvolgente le proprie crisi epilettiche, all'inizio degli anni Ottanta la band costituì uno dei principali punti di riferimento per gli amanti delle sonorità Goth, il genere che in Italia, e solo in Italia, venne identificato come Dark.

Era quasi inevitabile che fosse Corbijn a raccontare con le immagini la storia di Ian Curtis, per diverse ragioni: innanzitutto perché il fotografo olandese aveva avuto modo di conoscere di persona i Joy Division, dal momento che si trasferì in Inghilterra dall’Olanda in quanto loro fan e poi immortalò il gruppo di Manchester, poco tempo prima del suicidio di Ian, in uno scatto che ne delineò l’iconografia. L'immagine ritrae i quattro musicisti di spalle all’interno di una galleria in discesa. Ian, sulla destra, è leggermente girato e guarda di scorcio l’obiettivo.

Con questo film, Corbijn non fa che prolungare figurativamente e narrativamente quella fotografia, di cui recupera l’immagine in bianco e nero sgranato restituendone la medesima sensazione di indefinitezza che avvolge le figure immortalate.

Il biopic è ambietato durante gli ultimi tre anni di vita del cantante: l’incontro tra Ian e Deborah, il matrimonio, la formazione del gruppo e il tragico epilogo, descritto nei suoi minuziosi dettagli tanto casuali quanto significativi. Focalizzandosi soprattutto sulla vicenda personale di Ian e Deborah, eludendo in tal modo le inquietanti ambiguità o provocazioni politiche dei Joy Division, lasciando sullo sfondo il rapporto con l’industria discografica e la società dello spettacolo, la cinepresa pedina il protagonista nella sua confusione sentimentale, giustificata dalla giovane età e dall’improvviso successo, con uno stile scarno e quasi giansenista: il suono è in presa diretta, gli attori sono semisconosciuti, a eccezione di Samantha Morton, e tutti obbligatoriamente inglesi.

Ian Curtis è interpretato, con incredibile somiglianza mimetica, dal ventisettenne Sam Riley, cantante del gruppo indie 10000 Things, così che nelle sequenze in cui il gruppo suona non si fa uso di playback. Le canzoni eseguite live o in studio di registrazione dagli stessi attori/musicisti, quindi diegetiche, e le liriche recitate in fuori campo (extra diegetiche) da Riley tessono coordinate temporali e tematiche, fungendo contemporaneamente da coro e da capitolazione dell’intreccio. Il neoregista preferisce lasciare parlare i testi originali, capaci di esprimere, con la loro lucida disperazione, lo stato d’animo del protagonista meglio dei pochi dialoghi.

Il risultato definitivo ricorda involontariamente i film di Philippe Garrel o il Free cinema inglese, ed è speculare agli approcci autoriali di Jean-Luc Godard in One Plus One (1968) o di Gus Van Sant in Last Days (2005), piuttosto che alle lisergiche e compiaciute carrellate di Oliver Stone in The Doors (1991).

Il maggior merito della pellicola rimane sicuramente quello di aver trattato un argomento tanto delicato e facilmente idealizzabile con un certo pudore, senza cedere alla tentazione di farne un’opera visionaria o di eroicizzare la vita di quello che era, né più né meno, un piccolo gruppo musicale nella profonda provincia inglese guidato da un ragazzo insicuro e sommerso dalle responsabilità, con i suoi pregi e difetti, forse semplicemente troppo sensibile. Corbijn osserva solo in superficie, non scava, non pretende di dare risposte perché non ne ha e con questo film sembra volersi interrogare ancora.


fonte: delrock.it


Dico solo una cosa: è da vedere. (IMG:style_emoticons/default/23.gif)

Peccato che però lo troviate solo in lingua originale perchè da quanto ne so doppiato da noi deve ancora uscire, ma forse è anche meglio così.

Qui trovate anche il trailer.



edit: aggiornata la copertina del film, quella di prima non si vedeva più

Messaggio modificato da Jolly_roger il 31 Jul 2008 - 11:52
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Risposte
Rava~
messaggio 2 Jun 2009 - 18:16
Messaggio #2


Bambanon
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Per chi fosse interessato ad esplorare meglio la scena di Manchester di quegli anni, la Factory Records, Tony Wilson e tutti gli altri protagonisti consiglio di recuperare il film "24 Hour Party People". Ovviamente, come detto, non tratta solo di Ian Curtis e dei Joy Division.

Trailer.
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