CITAZIONE (Galen @ 19 Dec 2008 - 13:48)
Mah, in realtà in quel caso era passato poco tempo: due anni fa l'incidente, un anno e mezzo fa la terapia che ha portato al parziale risveglio...
Un caso di anni e anni, come quello Englaro, è diverso. Non solo per le condizioni del corpo, ma anche quello del cervello.
ma non ha nessuna rilevanza il passaggio del tempo. se si decide che per la legittimità dell'interruzione della vita a fronte di uno stato vegetativo, non importa che siano passati mesi o anni (non importa nemmeno una ipotatica possibilità di recupero).
certificata la condizione si stacca la spina.
Detto questo, i passi avanti della medicina sono senz'altro da tenere conto. E in quel caso una legge sul'eutanasia è ancora più auspicabile, potendo il malato scegliere se continuare a vivere così.
Sul fatto che uno può scegliere in un modo e poi al momento pentirsi... certo, è in conto. E allora cosa facciamo, non teniamo conto dell'unica volta che ha potuto scegliere? Violenza per violenza, perché in quei casi non fare niente "perché non si sa mai" è una violenza tale e quale, è chiaro che si debba tenere conto della scelta fatta.
anche accettando il fatto che sia una violenza tenere in vita a fronte di una volontà attuale di morire (cosa sulla quale si potrebbe discutere e che non è affatto scontata), e dando per scontato che sia una violenza uccidere a fronte della volontà di vivere, rimane il problema di cosa fare nel caso del dubbio.
e rimarrà sempre il problema della mancanza dell'attualità del consenso nei casi di stato vegetativo permanente.
allora si potrebbe dire: a fronte dell'assoluta eccezionalità della questione si dà la possibilità a ciascuno di scegliere il proprio futuro, nella consapevolezza che eventuali mutamenti di opinione non avranno alcuna validità se non certificati secondo le forme previste dalla legge.
se si risolvesse così la questione, il caso ci mi riferivo prima si risolverebbe con l'irrilevanza della manifestazioni orali di perplessità e con l'obbligo per la struttura sanitaria di interrompere la vita del soggetto, anche contro il volere di congiunti e amici. si deve accettare, quindi, che venga legittimamente uccisa una persona che forse voleva anche vivere, ma che si è assunta, i ogni caso, e si spera nella piena consapevolezza, il rischio di avvalersi dello strumento testamento biologico.
CITAZIONE (Galen @ 19 Dec 2008 - 13:48)
Ripeto, qual è l'alternativa? Non fare nulla (anzi continuare con l'accanimento terapeutico), quando appunto in ballo c'è la vita e la morte? Scegliere ideologicamente una violenza rispetto ad un'altra senza tenere conto dell'unica indicazione di volontà?
Si, per quanto mi riguarda siamo prontissimi a rinunciare a questa situazione viziata.
si tratta di scegliere quella violenza che corrisponde al valore supremo che almeno da un paio di secoli a questa parte ispira e sta alla base di qualsiasi dichiarazione dei diritti dell'uomo: quello della vita umana. significa prendere questo valore e rimodellarne i confini, sulla base di specifiche esigenze. si tratta di autorizzare e istituzionalizzare l'intervento dello stato (o di terzi) per consentire a chi non sia in grado di darsi la morte, il diritto di essere ucciso, insomma.
una bella rivoluzione dal punto di vista concettuale, secondo me.
si tratta di riconoscere, in certi casi, il diritto di essere ucciso da terzi.
e poi si tratta di stabilire i limiti entro cui tale diritto può essere esercitato. chi sia legittimato a chiederne il riconoscimento (in vece del titolare). se sia lecito procedere d'ufficio.
lascio andare un po' la fantasia, abbiate pazienza:
caso englaro: certificazione della volontà di morte -> esecuzione della sentenza.
caso welby: qui la volontà di morte è più che certificata: è attuale. il problema è che welby non è in grado di togliersi autonomamente la vita gli si riconosce dunque il diritto a pretendere che qualcuno lo aiuti a porre in essere il suo proposito.
caso tizio: tizio ha una fortissima e radicatissima volontà di morire. ogni volta che scende per strada spera che una macchina lo investa ponendo fine alle sue sofferenze. ma non riesce ad uccidersi. ci ha provato, qualche volta, ma per un motivo o per un altro non ce l'ha mai fatta. potrà tizio rivolgersi legittimamente allo stato per chiede che qualcun altro risolva la sua incapacità di togliesi la vita? se no, perché in che senso si deve interpretare l'incapacità di togliersi la vita?
io mi rendo conto di quanto sia spinoso il problema. in particolare, il caso welby mi ha colpito molto. mi chiedo, però, una volta aperto il varco, quali siano le possibili implicazioni che ne potrebbero derivare.