Questi sono solo alcuni spunti sulle difficoltà e sulla situazione di precariato che molta gente che si affaccia al mondo del lavoro deve affrontare ed anche sopportare.
In questo caso, la situazione mia e di tanti altri miei colleghi di tutta italia.
CITAZIONE
GIORNALISTI DI SERIE A E GIORNALISTI DI SERIE B
Negli anni d’oro (quelli ormai lontani più di due decenni) circolava un simpatico adagio che voleva il giornalismo lavoro d’elite e poco faticoso, remunerativo e pieno di privilegi.
«Fare il giornalista è sempre meglio che lavorare», si diceva.
In effetti fino agli anni 80 i giornalisti facevano parte di una categoria-casta ben pagata che deteneva di sicuro le leve del potere.
Negli anni 90 le cose iniziano a cambiare, le testate giornalistiche aumentano sempre più, si consolidano le reti televisive e radiofoniche locali. I grandi gruppi investono nel locale sviluppando redazioni regionali. Aumenta la richiesta dei giornalisti e gli iscritti all’albo, in maniera esponenziale. I giornali aumentano la foliazione e c’è bisogno di più lavoratori.
Si crea, all’interno della casta dei giornalisti, una netta separazione: ci sono i giornalisti assunti (quelli con la propria scrivania, in redazione, con stipendi che superano i 2000 euro, spese, trasferte, straordinario, tredicesima e quant’altro preveda il contratto nazionale).
Ci sono poi i cosiddetti “collaboratori” (5 euro a pezzo, quelli che vivono per strada e non possono accedere in redazione, che lavorano da casa e sono apparentemente svincolati dall’organico che crea il giornale, si pagano spese e disagi).
Sarebbe tutto normale se il ricorso al “collaboratore esterno” fosse occasionale e sporadico.
Cosa diversa, invece, se si spremono giovani desiderosi di affermarsi per fare gran parte del prodotto giornale, sfruttando meccanismi perversi di leggi non più attuali o distratte o troppo generiche o peggio interpretate male.
Ed è chiaro che all’editore il ricorso al collaboratore convenga davvero molto: come chiedergli “preferisci che ti regali mille euro oppure un milione?”.
La completa latitanza ed impotenza di Ordine e sindacato (e quella anche degli organi ispettivi) ha generato una sorta di matematica tranquillità che sovrasta sfruttamento e lavoro nero e che si traduce in decine e decine di vertenze singole ed estenuanti che terminano dopo oltre 10 anni (ed i collaboratori non sono highlanders…)
Nel frattempo è intervenuta la legge Biagi che ha flessibilizzato ulteriormente il lavoro dei collaboratori anche dei giornali. In sostanza il giornale che prima si faceva con giornalisti con contratto e diritti oggi si fa soprattutto con collaboratori che vengono pagati meno e soprattutto non hanno alcun diritto.
PUBBLICISTA E PROFESSIONISTA
Secondo la legge che istituisce l’Ordine e regola la professione giornalistica (3 febbraio 1963 n. 69) «sono professionisti coloro che esercitano in modo esclusivo e continuativo la professione di giornalista. Sono pubblicisti coloro che svolgono attività giornalistica non occasionale e retribuita anche se esercitano altre professioni ed impieghi».
Per poter diventare pubblicisti occorre aver pubblicato un pugno di articoli, essere stati retribuiti in qualche modo (non importa se molto o poco).
Per diventare professionisti, invece, bisogna essere dotati di un contratto da praticante, esercitare continuativamente la pratica giornalistica per almeno 18 mesi e superare l’esame di Stato che si tiene a Roma due volte l’anno.
Tuttavia poiché degli editori hanno fatto ampio ricorso agli strumenti che la legge mette a disposizione sfruttando al massimo la flessibilità è diventato in sostanza impossibile ottenere i contratti da praticante poiché per l’azienda molto onerosi.
Così la maggior parte degli “operatori dell’informazione” saranno pubblicisti (che è un po’ come i minorenni che portano il motorino o quelle auto per cui non occorre la patente: non sono tenuti a conoscere segnali stradali e regole però guidano lo stesso, senza una certificazione ufficiale e riconosciuta di una “sufficiente preparazione”)
COLLABORATORI A 5 EURO AD ARTICOLO O 300 EURO AL MESE
Iniziare a scrivere sul giornale non è poi particolarmente difficile. Diventa ostico se si pretende di essere pagati per il lavoro che si svolge.
Chissà perché il giornalismo è l’unico mestiere che si può fare “per hobby”.
Assolutamente impossibile è oggi essere regolarizzati che significa semplicemente avere un contratto (che rispecchi perfettamente il ruolo effettivamente svolto) e dunque diritti.
Il ragazzo che si avvicina a questa professione avendo un’idea romantica della professione si scontra immediatamente con la realtà che, nella migliore delle ipotesi, è un contratto annuale di collaborazione (alcuni anche a progetto anche se francamente si ignora quale sia in questo caso l’accezione di “progetto”).
Oggigiorno si fa ampio ricorso a contratto flessibili che ogni collaboratore esterno deve obbligatoriamente ma “liberamente” firmare. Tale accordo privato imposto dall’editore ha il solo obiettivo di svincolare l’azienda da ogni sorta di legame con il collaboratore che rimane dunque esterno all’azienda.
Per la legge formalmente tale lavoratore opera «in proprio» e «senza alcun vincolo di subordinazione».
Il collaboratore lavora «sulla base di singoli incarichi professionali di volta in volta conferiti». Non c’è rimborso spese, non ci sono ferie, riposo o diritti riconosciuti. I contratti imposti dalla parte più forte sono accordi stipulati «nella più ampia libertà e facoltà delle parti».
Seguendo pedissequamente il dettato contrattuale il collaboratore dovrebbe proporre un pezzo al giornale quando ne ha voglia, il giornale lo pubblica se ne ha voglia.
Il compenso al momento è cinque euro ad articolo.
Per chi non abbia assolutamente idea di come nasca un articolo diciamo che questo implica telefonate, spostamenti, ricerche, e di sicuro la perdita di un po’ di tempo. Cinque euro valgono per l’articolo creato in un’ora come per quello di mezza giornata.
Un articolo va sempre verificato: pensate che si possano effettuare sufficienti verifiche per 5 euro?
Fin qui potrebbe sembrare solo una storia di quotazione dell’operato del giornalista.
L’OBBLIGO SOTTINTESO
I problemi seri iniziano quando, sfruttando la legge, si riescono a creare interi giornali basandosi esclusivamente o per la maggior parte sul lavoro dei collaboratori. Con il non trascurabile vantaggio di costare molto poco al “padrone”.
Questo implica di fatto un lavoro quantitativamente e qualitativamente diverso del collaboratore che dovrà assicurare nella pratica un certo numero di articoli utilizzando un certo numero di ore della sua giornata.
Si crea così un certo “obbligo sottinteso” alla prestazione che si allontana dalla iniziale statuizione e si trasforma di fatto in un rapporto che dal punto di vista giuridico diventa in molti casi subordinato (che andrebbe regolato dal contratto nazionale dei giornalisti molto ma molto più costoso per l’editore).
Il vincolo c’è, la dipendenza pure, ma non si vedono a fine mese nella busta paga.
75% DELLA “REDAZIONE”
Oggi la percentuale dei collaboratori di un giornale si aggira intorno al 75%. Questo vuol dire che i giornalisti contrattualizzati sono appena il 25% dell’intero organico e di solito hanno compiti di coordinamento, di impaginazione, di verifica dei pezzi.
E per un collaboratore che liberamente deve fornire pezzi per riempire ogni giorno una porzione di pagina (a volte anche una pagina intera) la situazione diventa piuttosto complicata.
Non bisogna sottovalutare la componente psicologica ed umana di chi magari ama moltissimo questa professione e si sottopone per un certo periodo di tempo alla necessaria ed utile “gavetta”.
Molto spesso però tale periodo si allunga a dismisura occupando spesso un decennio, ma sono sempre di più chi può vantare una “gavetta” ventennale o più. L’unico problema diventa trovare… un lavoro per sopravvivere.
Per le tv locali le cose non vanno meglio: il ricorso ai giovanissimi di primo pelo (che non pretendono ma nemmeno assicurano professionalità) è sempre maggiore, così come a società esterne, troppo pochi i veri professionisti con regolare contratto di categoria che possono garantire la qualità del prodotto.
Ecco allora che il giornalismo fatto con queste logiche alle spalle pone seri problemi qualitativi del prodotto.
LA NOTIZIA INQUINATA
Se così stanno le cose si capisce quanto sia vitale trovarsi un “vero” lavoro che consenta poi di poter continuare “a scrivere sul giornale” perchè nessuno oggi è in grado di vivere dignitosamente con 300, 500 o 600 euro al mese.
Ecco perché si trovano firme note sui nostri giornali che di mestiere fanno il professore o l’impiegato.
Moltissimi “operatori part time dell’informazione” tuttavia rimangono nel campo e, sfruttando le nuove possibilità offerte da recenti normative, offrono la loro prestazione professionale creando servizi legati a quello che viene chiamato “ufficio stampa”.
“Fare l’ufficio stampa di” significa veicolare in sostanza il messaggio ai media di politici, enti, aziende, associazioni predisponendo comunicati stampa, organizzando conferenze stampa.
Cosa succede se lo stesso giornalista cura l’ufficio stampa di qualcuno e scrive anche sul giornale o lavora in tv?
La risposta più corretta è: dipende.
Esempio: se curo l’ufficio stampa della squadra di calcio di Montazzoli (Ch) e poi per il giornale curo la cronaca di Penne (Pe) è probabile che non vi siano problemi di nessun genere perché non vi sarebbero commistioni o conflitti.
Ma se, per esempio, sono il giornalista che cura l’ufficio stampa del partito X (dunque, pagato da questo partito) e scrivo sul giornale (pagato molto meno) di argomenti inerenti lo stesso partito, pensate forse che io possa mai scrivere in tutta serenità e obiettività?
E come pensate che possa essere il mio prodotto finale se per esempio devo informare i lettori del giornale o gli spettatori della tv della posizione del partito Y, contrario e opposto al mio (sempre quello che mi paga)?
In gergo si chiama conflitto di interesse e nuoce inevitabilmente alla salute della verità e della obiettività.
Infatti, la legge vieta questo genere di commistione esplicitamente.
Peccato che nessuno faccia rispettare la norma.
Chi dovrebbe controllare non sa e non vuole vedere (e poi perché impedire a giornalisti precari di portare alla fine del mese uno stipendio per sopravvivere dignitosamente?)
CI SONO DATORI DI LAVORO E DATORI DI LAVORO
Così abbiamo giornalisti che scrivono anche su quotidiani molto diffusi o in tv che vengono pagati per fare i portavoce di politici.
Saranno poi naturalmente prontissimi a “far passare” articoli sul giornale per il quale lavorano.
Poi ci sono quelli che sono “pagati dal sindaco” che li ha “assunti” e continuano a scrivere sul giornale, magari lavorano in tv o rivestono ruoli organizzativi per cui possono influire persino sul taglio da dare a certe notizie (tutte le notizie nei casi più estremi).
Siccome siamo un paese che non si fa mancare nulla possiamo vantare anche “direttori dopolavoristi” che, assunti magari dalla Regioni o dalle università, poi, in tutta obiettività, decidono le loro linee editoriali. Certo la cosa sarebbe molto più grave se si trattasse di tv regionali dalle grandi audience.
Ma in questo caso di precaria c’è solo la verità che inevitabilmente ne viene fuori visto che per eccezioni come queste vengono fuori compensi oltremodo dignitosi.
Sta di fatto che, capito il gioco, i politici (ma anche aziende, enti pubblici e non) hanno fatto a gara ad “accaparrarsi” le prestazioni delle firme più autorevoli (ma non contrattualizzati) per fare a volte anche giochi poco coretti.
Tutto ruota intorno ai “buoni rapporti” e alla simpatia e alle credenziali che il giornalista può giocarsi.
E ci sono giornalisti che lavorano per aziende, enti pubblici, organizzazioni e che di queste scrivono poi sui giornali chiamati ad essere obiettivi creando un numero enorme di conflitti e generando un groviglio di interessi inestricabile.
Come si può pretendere che il giornalista dell’ufficio stampa del Comune Z poi sia realmente obiettivo nel riportare le notizie sul giornale che riguardano la stessa amministrazione?
Casi di questo genere sono migliaia a tutti i livelli generati proprio da un sistema che non garantisce diritti al giornalista precario.
Spesso si tira fuori la trita tiritera su quale mai sia la ragione per cui non si fa più il giornalismo di inchiesta, quello che serve per davvero… vi è per caso balenata qualche ragione adesso?
Il massimo del parossismo si tocca quando, per esempio, tutti i “corrispondenti” dei maggiori organi di informazione locali siano dipendenti del Comune per cui scrivono “in cronaca”.
Quale tipo di informazione pensate ricevano gli abitanti di quel paesino o paesone?
E se manca la verità e l’obiettività manca quel controllo che il vero giornalismo è chiamato a fare scoperchiando quanto andrebbe per missione scoperchiato ed offrire uno strumento importante al cittadino, non fosse altro perché garantito dalla Costituzione.
IL SINDACATO
Chi tutela il giornalista precario?
Di fatto nessuno perché nessun organismo per legge può farlo (ma che Paese è mai questo?).
Il sindacato dei giornalisti, infatti, tutela solo chi ha sottoscritto il contratto nazionale (quello oneroso per gli editori e sempre più raro) un paradosso incredibile e non sanato che lascia del tutto indifesi l’esercito di centinaia e centinaia di giornalisti di fatto della nostra regione.
Ma soprattutto lascia campo libero agli editori con le inevitabili conseguenze sul prodotto alle quali abbiamo accennato.
Sensibile a questo problema, almeno a parole, è sembrata la Cgil che in quanto sindacato potrebbe intervenire per tutelare i diritti fondamentali di lavoratori e cittadini.
In questo scenario desolante ad avere buon gioco sono allora i politici e gli imprenditori, insomma i poteri forti, che di fatto possono influire in maniera diretta sulla informazione (e quello che abbiamo descritto è soltanto uno, la conseguenza della precarietà, ma ve ne sono moltissimi altri…).
Come si può ragionevolmente auspicare che le cose possano cambiare grazie a nuove norme necessarie e sacrosante?
Certo manca da sempre anche una vera organizzazione dei precari che vivono malissimo ma per loro c’è sempre spazio per peggiorare.
Eppure quanto potrebbe aiutare le persone oneste una stampa forte, onesta, che non si vende e non si presta, dignitosa e con «la schiena sempre dritta».
Forse è utopia ma pretendere che siano colmate enormi falle non chiamatela utopia.
CITAZIONE
Giornalisti collaboratori: 'resistere, resistere, resistere'
Eh già, a volte è veramente dura: cerchi notizie, cerchi persone, interviste ed interventi e poi.... e poi niente, resti sempre un collaboratore occasionale, senza alcun diritto, solo doveri.
La nota non vuol essere solo polemica (anche...) ma anche costruttiva. Il fatto è bisogna prendere il coraggio a quattro mani e denunciare questa situazione di 'stallo' che si verifica nelle redazioni dei quotidiani, almeno quelli principali.
Il giovane, intraprendente e voglioso di dimostrare quanto valga, non può in nessun caso considerare il giornalismo come un lavoro: in fondo al mese lo 'stipendio' è praticamente inesistente. Ma, tutto sommato, non è questo l'elemento più importante. In qualsiasi altro lavoro, infatti, sono richiesti periodi di prova, più o meno lunghi.
Il problema nasce quando il giovane si rende conto che, prima di poter entrare a far parte di una redazione vera e propria, con le conseguenti possibilità di arricchimento professionale, dovranno passare anni, durante i quali continuerà a mandare i pezzi via e-mail, senza toccare con mano come si 'vive' in una redazione, come si imposta una pagina, l'importanza dei titoli, ecc.
Fare una specie di sondaggio fra i collaboratori esterni delle testate servirebbe per capire quanto poco questi sappiano delle vera vita di redazione. Che tipo di formazione è questa? Quale esperienza può derivare dallo scrivere 'da casa'?
La consapevolezza del fatto che non può esserci posto per tutti gli aspiranti giornalisti c'è, eccome, ma è pur vero che con questo modus operandi non resta neanche la speranza di riuscire.
E questa è la strada più breve per decimare il numero degli aspiranti giornalisti, e decrementare la qualità del loro lavoro: meno proposte, meno alternative di scelta.
Concludo quindi parafrasando una espressione molto in voga in questo periodo, che vuol essere un incitamento per tutti gli aspiranti giornalisti che navigano questo sito: 'resistere, resistere, resistere', qualcosa, prima o poi, accadrà.