Ad ormai meno di un mese dai primi importanti appuntamenti delle primarie in Iowa e New Hampshire, direi che è giunto il momento di aprire un bel topicozzo sulle elezioni presidenziali USA.
Personalmente trovo particolarmente affascinante la scena politica americana. Nonostante tutti i suoi difetti (ma quale sistema non ne ha), è incredibile come sia una delle scene politiche più fluide e meno ingessate dalle ideologie: le basi dell'elettorato dei due partiti non solo si spostano in continuazione, così come le idee di riferimento alla loro base, ma spesso e volentieri si scambiano e si invertono in modi che avrebbero dell'incredibile se trasportati in un paese come il nostro.
Excursus introduttivo a parte, vediamo di fare un po' il punto.
Megamaxi - Riassuntone sul sistema elettorale americano e sulle presidenziali:
Il presidente degli USA ha mandato quadriennale e viene eletto tramite un meccanismo di grandi voti elettorali, stato per stato. In pratica, ognuno dei 50 stati dell'unione ha un suo peso in voti elettorali (ad esempio, la florida vale 27, la california 55, il michigan 10, il delaware 3), ed il candidato che vince il voto popolare IN QUELLO STATO si porta a casa tutti i voti elettorali associati a quello stato. E' un sistema "tutto o niente", ripartito stato per stato. Si diventa presidenti con 270 voti.
Gli US sono una democrazia strettamente bipolare, la cui scena politica, nel 1900, è sempre stata dominata da due grandi partiti: quello Democratico (simbolo: l'asinello, colore: blu) e quello Repubblicano (simbolo: l'elefante, colore: rosso). I Democratici sono più assimilabili ad un partito liberale/di centrosinistra moderato, mentre i Repubblicani si potrebbero assimilare ad un partito conservatore/di centrodestra. Occhio che sono definizioni da prendere assolutamente con le pinze, perchè servono solo a dare un idea a chi di politica americana ne sente parlare ora per la prima volta.
Ognuno dei due partiti propone uno ed un solo proprio candidato alle elezioni presidenziali (anche se altri possono correre come indipendenti, ma nessuno ha mai fatto molta strada, ad eccezione di Ted Roosevelt che riuscì ad ottenere ben 88 voti elettorali), e questi candidati alle elezioni presidenziali vengono scelti all'interno di ognuno dei due partiti tramite un meccanismo conosciuto come elezioni primarie.
Ogni cittadino americano può scegliere se registrarsi alle primarie repubblicane O a quelle democratiche (o non registrarsi e stop) per votare il proprio candidato preferito fra quelli disponibili. Tralascio il sistema di voto delle primarie che è particolarmente diversificato e lungo da spiegare, basti sapere che anche queste sono fondamentalmente decise su una base "stato per stato", dove il vincente prende quasi tutto in termini di delegati per l'assemblea finale.
fine maxi riassuntone
Passiamo ora ai candidati principali
Democratici
- Hillary Rodham Clinton, senatrice dello stato di New York, ex first-lady
- Barack Obama, senatore dell'Illinois
- John Edwards, senatore del North Carolina, ex candidato vice-presidente nel 2004
Repubblicani
- Rudolph Giuliani, ex sindaco di New York
- Mitt Romney, governatore del Massachusetts
- Mike Huckabee, governatore dell'Arkansas
- John McCain, senatore dell'Arizona
- Fred Thompson, ex senatore del Tennessee
Situazione attuale
Democratici
Hillary Clinton è ancora la candidata favorita, anche se il suo vantaggio è calato drammaticamente. Due mesi fa aveva da sola circa il 50% di consensi fra gli elettori democratici, ed un vantaggio di oltre 20 punti sul secondo candidato, Obama. Adesso la situazione è cambiata. Anche se ancora in vantaggio come consensi su base elettorale nazionale (viene data fra il 36 ed il 40%, circa 10-12 punti sopra il suo diretto sfidante), ha nettamente perso terreno, ed è addirittura in svantaggio nei sondaggi per l’Iowa ed il New Hampshire, che sono appunto i primi stati dove si terranno le primarie.
Le ragioni a causa di tutto ciò sono molteplici:
- Una serie di scandali su finanziatori poco puliti (e coinvolti in traffici illeciti) hanno travolto la campagna della Clinton qualche mese fa, uno più grave dell’altro
- Un altro scandalo è stato quello dell’audience “addomesticata” nei dibattiti televisivi, non solo con la claque nel pubblico dei dibattiti democratici, ma anche gli infiltrati nei dibattiti repubblicani pronti a fare. Quando la Clinton non ha più potuto nascondere la cosa, è stata messa un po’ alle corde.
- Trovandosi in difficoltà, la campagna della Clinton si è lanciata in una serie di attacchi con colpi bassi diretti a Obama, ma alcuni si sono rivelati delle armi a doppio taglio con effetto boomerang clamoroso: si va dagli attacchi sull’uso delle droghe alle insinuazioni di natura religiosa, ma il più ridicolo è stato l’attacco in cui è stato tacciato come eccessivamente ambizioso perché avevano trovato un suo disegno delle elementari in cui diceva “voglio diventare presidente”
- In generale, Hillary soffre di un problema di “strong core opposition”, ovvero viene vista come una figura molto polarizzante, sia all’interno del suo partito che al di fuori, e c’è una grossa percentuale di americani (fra il 45 ed il 49%) che dichiara nei sondaggi che non la voterebbe mai. Questo la mette in difficoltà man mano che gli altri candidati diventano più conosciuti al pubblico, però la sua notorietà le ha dato un grande vantaggio iniziale, di cui in parte gode tuttora.
Per ora i due candidati fanno a gara di endorsements (ovvero: “appoggi pubblici alla candidatura”, sono importanti negli USA) palesi o “accennati”. Buona parte dei media appoggia Hillary, ma ultimamente Obama ha segnato un colpo grosso perché Oprah Winfrey (la popolarissima conduttrice di talk show americana, fate conto una somma di maria de filippi, carrà, pippo baudo, costanzo e antonella clerici), che finora ha sempre fatto dell’apoliticità del proprio personaggio una costante, è scesa in campo apertamente in un tour di supporto al candidato dell’Illinois. Edwards ha invece poche possibilità, anche se è il candidato più popolare nella regione dei laghi, il più dei appoggiato dai sindacati e quello più favorito dalla potente lobby di George Soros. Potrebbe però essere decisivo se decidesse di ritirarsi prima del super martedì (il giorno in cui si svolgono le primarie in circa metà degli stati) e dare il suo appoggio ad uno degli altri due contendenti.
Le primarie democratiche sono ancora abbastanza aperte, anche se la strada è in salita per Obama. I risultati di Iowa e New Hampshire saranno sicuramente decisivi. Se Hillary vince in entrambe gli stati, la partita si può considerare chiusa. Per Obama infatti è fondamentale vincere, per sperare in un effetto “valanga” che gli consenta di riguadagnare terreno. La gara però è ancora molto aperta in entrambe gli stati, con differenze troppo risicate (in tutti i sondaggi) perché si possa già delineare un vincitore.
Repubblicani
Qua l’è un bel casino. Ancora più emozionante di quelle democratiche, visto che la corsa è più confusa e ci sono molti più candidati potenzialmente in grado di giocarsi la vittoria.
Il candidato favorito negli ultimi 6 mesi è sempre stato Rudy Giuliani, l’ex-sindaco di new york. Fino a quest’autunno godeva di un larghissimo consenso, e di un netto vantaggio nei confronti degli altri due candidati “frontrunner” fino a quel momento, John McCain e Mitt Romney. McCain, eroe di guerra del Vietnam, storico ed integerrimo senatore repubblicano, si era praticamente s*******to da solo ogni possibilità di vittoria in più occasioni durante l’inizio della campagna elettorale, ed in autunno era ai minimi storici. Romney era leggermente in posizione più favorevole, nonostante sia un candidato Mormone (fede che molti americani vedono un po’ con diffidenza).
Il punto chiave è che Giuliani viene visto come troppo poco conservatore, troppo liberal e troppo riformista da buona parte della base elettorale del GOP. Sì, ha il vantaggio di essere considerato abbastanza “eleggibile”, più dei suoi due diretti oppositori, ma molti erano comunque sfiduciati e dubbiosi delle sue possibilità di vittoria in un match-up contro uno dei principali candidati democratici. Giuliani probabilmente attirerebbe più elettori indipendenti degli altri, è popolare e viene considerato un campione della lotta contro il crimine, ma ha un immagine molto legata all’undici settembre, e non è detto che questo sia un bene nelle future elezioni.
Appare chiaro che il punto di lettura chiave delle primarie repubblicano possa sintetizzarsi così: O un candidato alternativo riuscirà a imporsi come candidato “vero repubblicano”, qualcuno con un mix di conservatorismo-riformista che sappia farsi piacere dalle basi conservatrici tradizionali ed allo stesso tempo cogliere lo spirito del momento, oppure sarà Giuliani il vincitore delle primarie.
In questo clima di sfiducia, è entrato in campo in autunno Fred Thompson, in seguito ad un vero e proprio enorme movimento di base che lo spingeva a candidarsi come “salvatore della patria”. Il buon Fred aveva addirittura il secondo posto nei consensi repubblicani PRIMA ANCORA di ufficializzare la sua candidatura, e sembrava il candidato conservatore perfetto, con un passato politico praticamente perfetto sotto tutti i punti di vista (addirittura, uno dei pochi senatori del DOP a non votare l’impeachment di Clinton). Il suo discorso introduttivo (molto bello a dire il vero) ed il suo annuncio di entrare nella corsa gli hanno fatto fare un altro salto in avanti nei consensi. Presto però è emersa la sua lacuna principale agli occhi degli elettori repubblicani: la mancanza di convinzione… purtroppo Thompson non è un candidato che sembra “crederci” davvero, ed ha consistentemente dato l’impressione di un uomo sì deciso ad assumersi queste importanti responsabilità, ma solo per senso del dovere più che per altro (in effetti è in linea con la persona). Nel corso del mese di novembre Thompson ha quindi riperso consensi, e si è riattestato all’incirca attorno al 11-13%, poco sopra un redivivo McCain e di poco sotto l’agguerrito Romney che cerca di proporsi come candidato principale anti-Giuliani.
L’ultimo fenomeno però è un altro… il cosiddetto HUCKABOOM. Mike Huckabee, governatore dell’Arkansas e candidato alle primarie repubblicane, aveva iniziato la sua campagna elettorale da molto tempo, ma era sempre stato visto come un candidato minore. Ha proseguito metodicamente in tutte le attività classiche di una campagna, ottenendo grandi consensi, minimizzando i pareri sfavorevoli ma senza mai riuscire ad avere una grande visibilità. Estremamente popolare fra i più informati elettori del GOP ma sconosciuto a quasi tutti gli altri, gli analisti lo davano come un candidato minore. Finchè la sua candidatura non ha messo il triturbo. Uno dei turning point che gli ha garantito grande visibilità è stato sicuramente lo spot elettorale girato con Chuck Norris , ma anche performance sempre più convincenti nei dibattiti televisivi lo hanno aiutato. L’impressione generale è di un candidato sicuro delle proprie convinzioni (è un pastore battista) ma non ossessionato dal volerle imporre ad altre, abile nei dibattiti, politicamente scaltro, carismatico e mediaticamente appetibile.
Anche per le primarie repubblicane i primi tre stati (Iowa, New Hampshire e South Carolina) saranno decisive, ma meno che per i democratici. Giuliani è indietro in tutti questi stati, ed arranca anche in Michigan, Florida e Nevada. Avrebbe davvero bisogno di ottenere una qualche vittoria elettorale all’inizio per rafforzare la propria posizione, o rischia di veder dissolversi le sue speranze di vincere il super martedì, per il quale è comunque il favorito #1. Romney è in vantaggio stratosferico in New Hampshire, e sembra impossibile che qualcuno possa scalzarlo da quella posizione. Huckabee invece domina i sondaggi in Iowa e South Carolina, ed è in vantaggio sia in Florida che Michigan. A favore di giuliani potrebbe giocare la competizione fra Romney e Huckabee… se nessuno dei due candidati uscisse come chiaro vincitore delle primarie di gennaio, il sindaco d’america avrebbe più possibilità di imporsi nel super martedì. Dei due avversari, Huckabee è quello con più possibilità di farcela, se riesce a contenere i danni in New Hampshire e vincere (più o meno decisamente) la maggioranza delle altre primarie, può essere un serio pericolo per Giuliani, ed il futuro candidato alla presidenza (oltretutto, dai sondaggi viene considerato altamente eleggibile).
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