http://www.repubblica.it/2007/11/sezioni/c...si-morto-1.htmlLa catena degli erroridi GIUSEPPE D'AVANZOL'AGENTE della polizia stradale che ha ucciso Gabriele Sandri non si è accorto della rissa. Nemmeno ha intuito che, nell'area di servizio di Badia al Pino lungo l'A1, due piccoli gruppi di juventini e laziali se le erano appena date di santa ragione. L'agente - se sono buone le fonti di Repubblica - è stato messo sul chi vive dal parapiglia. Era lontano, dall'altra parte della carreggiata. C'è chi dice duecento metri, chi cento, in linea d'aria.
Ha sentito urla e grida. Ha visto un fuggi fuggi e un'auto che velocemente - o così gli è parso - si allontanava dall'area di servizio. Ha pensato a una rapina al benzinaio. Ha azionato la sirena. L'auto non si è fermata. Ha sparato. Ha ucciso. Raccontata così dal suo incipit, questa domenica crudele e brutale in cui è precipitata l'Italia, da Bergamo a Roma, poteva non avere come canovaccio principale la violenza che affligge il mondo del calcio ma, più coerentemente, il caso, la probabilità, l'errore. Il caso che incrocia l'auto della polizia stradale con il convoglio di tifosi.
La probabilità che il proiettile raggiunga, da settanta metri, il collo di "Gabbo" Sandri che dormiva. L'errore, il doppio errore "tecnico" del poliziotto che non comprende che cosa è accaduto dall'altra parte della strada e, convinto di essere alle prese con un delitto ben più grave di una scazzottata, troppo emotivamente, troppo affrettatamente spara. Per lunghe ore, questa ricostruzione - che non allevia la tragicità dell'insensata morte di Gabriele Sandri - non è saltata fuori. In un imbarazzato silenzio, è stata eclissata.
Chi doveva svelarla - la questura di Arezzo, il Viminale - ha taciuto e - tacendo - ha gonfiato l'attesa, la rabbia, la frustrazione delle migliaia di ultras che si preparavano a raggiungere in quelle ore gli stadi, sciogliendola poi con una cosmesi dei fatti che si è rivelata un abbaglio grossolano che, a sua volta, ne ha provocato un altro ancor più doloroso. E' stato detto che l'agente della polizia stradale è intervenuto per sedare una rissa tra i tifosi e, nel farlo, ha sparato in aria un colpo di pistola ("introvabile l'ogiva") che "accidentalmente", "forse per un rimbalzo", ha ucciso Sandri.
Consapevole che non di calcio si trattava, ma del tragico deficit professionale di un agente lungo un'autostrada, il Viminale non ha ritenuto di dover fermare le partite muovendo l'ennesimo passo falso di un'infelice domenica. Il racconto contraffatto è stato accreditato di ora in ora senza correzioni. Rilanciato e amplificato dalle dirette televisive, dalle radio degli ultras, dai blog delle tifoserie, ha acceso come una fiamma in quella polveriera che sono i rapporti tra le forze dell'ordine e l'area più violenta degli stadi, prima e soprattutto dopo la morte dell'ispettore Filippo Raciti a Catania.
L'illogica catena di errori, malintesi, confusione, silenzio e furbe manipolazioni - non degne di un governo trasparente, non coerenti con una polizia cristallina - ha trasformato la morte di Sandri in altro. L'ha declinata come morte "di calcio", morte "per il calcio". E' diventata una "chiamata" per l'orgoglio tribale degli "ultras" che, incapaci di esaurire la loro identità nell'appartenenza a una passione, a vivere il calcio come una buona, adrenalinica emozione, hanno soltanto bisogno di odiare, di posare a "guerrieri", di mimare la partita come protesta e come battaglia.
Hanno bisogno di dividere il mondo in "amico" e "nemico" e devono avere - tutti insieme, amici e nemici - come nemico assoluto "le guardie". Sono non più di settantamila in tutto il Paese e ieri, per la gran parte si sono presi, in un modo o in un altro, gli stadi. Li hanno "governati" o distrutti, come è accaduto a Bergamo, per bloccare le partite in segno di lutto come accadde dopo la morte di Filippo Raciti. Come se Raciti e Sandri fossero i "caduti" su fronti opposti di una allucinata "guerra", dichiarata tanto tempo fa e ancora in corso, domenica dopo domenica, scontro dopo scontro, carica dopo carica.
Questo disgraziato 11 novembre rischia di azzerare i discreti risultati raggiunti dentro gli stadi (meno eccitazione, risse e aggressioni sugli spalti; più autocontrollo e fair play in campo; maggiore rispetto per avversari e arbitri anche negli striscioni). Impone di affrontare l'imbarbarimento che oggi - sacralizzato e protetto lo stadio - ne impegna soprattutto i dintorni e, come si è visto anche ieri a Badia al Pino, le autostrade lungo le quali è assolutamente impossibile prevedere come e dove opposte tifoserie potranno incontrarsi, per uno sventurato caso.
Questa delirante "guerra" deve avere fine. Questo "terrorismo" domenicale deve sciogliersi. Non c'è bisogno di nuove leggi, di nuovi provvedimenti, di scorciatoie amministrative. E' sufficiente proteggere quei beni di interesse collettivo - la pubblica sicurezza e l'ordinata convivenza civile minacciate - che un recente decreto legge del governo riserva a difesa dei comportamenti dei cittadini non-italiani.
Forse non è sbagliato pensare a vietare del tutto le trasferte delle tifoserie, come già è stato episodicamente deciso. E' di tutta evidenza che bande di "guerrieri" che attraversano il Paese per sostenere in trasferta la propria squadra con la voglia matta di aggredire il "nemico" non sono gestibili da nessuna polizia del mondo, a meno di non militarizzare una volta la settimana autostrade, stazioni ferroviarie e piazze. E' un divieto che mortifica il Paese. E' una sconfitta utile a evitarne di peggiori. In questa sventurata domenica non c'è chi non abbia già perso. Gabriele Sandri ha perso la vita. Il Viminale la faccia. Il mondo del calcio, per una decina di migliaia di fanatici, ancora una volta la credibilità.
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http://www.repubblica.it/2007/11/sezioni/c...ori-stadio.htmlDal tifoso del Bologna ustionato da una molotov, all'omicidio Raciti
Coltellate, incendi, risse: la follia violenta del calcio malato dal 1984 ad oggi
Una scia di sangue lunga 20 anniTante le vittime fuori dagli stadiROMA - La morte di Gabriele Sandri vicino all'autogrill di Arezzo si aggiunge al già troppo lungo elenco di agguati, scontri e incidenti tra tifosi fuori dagli stadi. Negli ultimi 20 anni, il caso più emblematico è quello di Ivan Dall'Olio, 14 anni, tifoso del Bologna che il
18 giugno 1989 rimase gravemente ustionato in seguito al lancio di una bomba molotov contro il treno dei sostenitori della squadra emiliana giunti a Firenze per la partita. Per Dall'Olio inizierà un'odissea fatta di sei operazioni e 188 giorni di ricovero.
Dopo la gara Milan-Cremonese del
30 settembre '84, un giovane milanista di Cremona, Marco Fonghessi di 23 anni, scambiato per tifoso della squadra avversaria, venne accoltellato e ucciso vicino allo Stadio san Siro. L'omicida, Giovanni Centrone fu arrestato il giorno dopo e condannato a 22 anni di reclusione diventati 18 in appello.
Ancora una vittima il
4 giugno 1989: prima di Milan-Roma un gruppo di ultras rossoneri insegue davanti ai cancelli dello stadio alcuni romanisti: uno di loro, Antonio De Falchi, 19 anni, crolla a terra stroncato da un collasso cardiaco. Tre tifosi milanisti saranno processati per omicidio preterintenzionale.
Gennaio 1995: negli scontri fra tifosi prima di Genoa-Milan viene ucciso il tifoso del Genoa
Vincenzo Spagnolo, colpito dall'ultrà rossonero Simone Barbaglia, davanti allo stadio Ferraris. Dopo la partita centinaia di persone circondano lo stadio e si scontrano con le forze dell'ordine.
Nel
'99 - era il 24 maggio - il treno che riporta a casa i tifosi della Salernitana dopo la gara con il Piacenza si trasfora in un rogo: tra le fiamme muoiono
quattro giovani supporter granata.
Gennaio scorso: un dirigente della Sammartinese di terza categoria,
Ermanno Licursi, muore a Luzzi nel Cosentino a seguito dei colpi ricevuti mentre cerca di sedare una rissa in campo nella partita con la Cancellese. Il dirigente si accascia rientrando negli spogliatoi.
Subito dopo, a
febbraio, l'ispettore di polizia Filippo Raciti muore a Catania, durante
gli scontri che precedono la partita tra gli etnei ed il Palermo. Il calcio si ferma e poi ritorna, esattamente come il dolore.