Oggi è Dom, 23 Set 2007
Edizione 200 del 18-09-2007
La Francia avverte Teheran
“Prepararsi al peggio” L’Iran è isolato
di Gualtiero Vecellio
Quale che sia il motivo che ha indotto il ministro degli Esteri francese Bernard Kouchner a dire con brutalità che “bisogna prepararsi al peggio”, e cioè alla guerra con l’Iran, è un fatto che si è messo il dito dentro una piaga sanguinante. Poco prima un giornale inglese, il “Sunday Telegraph”, aveva scritto che il Pentagono ha predisposto una lista di circa duemila obiettivi da colpire in territorio iraniano. Non semplici war games, a cui “istituzionalmente” i generali si dedicano. Non si tratta, tuttavia, di novità. Analisti e osservatori sanno e avvertono che la pressione nella pentola iraniana bolle da tempo. Un’avvisaglia si è avuta ai primi di settembre: da Washington George W. Bush, e da Parigi Nicolas Sarkozy hanno fatto espliciti riferimenti a possibili bombardamenti dei siti nucleari iraniani. Un altolà che faceva seguito alle bellicose dichiarazioni rilasciate il 2 settembre scorso dal presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad: quando aveva annunciato che l’Iran ha già installato tremila centrifughe per l’arricchimento dell’uranio; il giorno successivo sempre Ahmadinejad seccamente affermava che “il dossier nucleare è chiuso”; cioè nessuna ulteriore trattativa era possibile e negoziabile, l’Iran sarebbe andato avanti per la sua strada,incurante e sordo agli appelli della comunità internazionale.
“Bisogna prepararsi al peggio”, avverte Kouchner, che ha cercato di mitigare la sua fosca previsione aggiungendo “che non è una cosa che accadrà dall’oggi al domani”. In effetti, gli esperti americani e israeliani concordano nel ritenere che l’Iran non sarà in grado di realizzare il temuto ordigno nucleare prima di due-cinque anni: delle tremila centrifughe istallate, meno di duemila sarebbero in funzione, e comunque a una velocità inferiore del 4 per cento. Il problema è che blitz e interventi militari – al di là delle considerazioni politiche ed etiche – tecnicamente sono difficili. Gli iraniani hanno fatto tesoro della “lezione” del 1981, quando un raid israeliano distrusse il reattore iracheno Osirak; niente oggi garantisce che una serie di “interventi chirurgici” militari bloccheranno il programma iraniano; per contro le conseguenze in tutta l’area mediorientale sarebbero a dir poco devastanti.
Gli iraniani dispongono di 224 missili antiaerei su rampe mobili. I loro missili terra-terra Shehab sono già ora in grado di colpire sia Israele che i pozzi petroliferi dell’Arabia Saudita. Se attaccata, Teheran certamente reagirebbe colpendo obiettivi americani dislocati nell’area del Golfo: in Iraq, in Afghanistan; e gli alleati hezbollah in Libano lancerebbero un’offensiva contro Israele e i caschi blu di Unifil.
Uno scenario, che verrebbe ulteriormente aggravato dal possibile blocco dello stretto di Hormuz, un passaggio-chiave: ogni giorno vi transitano circa 17 milioni di barili di greggio verso i mercati occidentali. Sarebbe la mossa dello scorpione che avvelena la rana mentre lo sta traghettando a riva, visto che petrolio e gas costituiscono il 90 per cento delle esportazioni iraniane; ma Ahmadinejad ha già dimostrato di essere sufficientemente fanatico da essere indifferente a questo tipo di problemi. E comunque Teheran sa di poter contare sull’appoggio della Russia e della Cina, quest’ultima assetata di petrolio e disposta a qualsiasi cosa pur di accaparrarsene. A Washington è noto che il vice-presidente Dick Cheney guida il partito dei “falchi”, convinto che sia necessario fare oggi quello che comunque si dovrà fare domani. Più possibilisti il segretario di Stato Condoleezza Rice e il segretario alla Difesa Robert Gates, più favorevoli a un articolato piano di sanzioni. Ad ogni modo, il Pentagono ha già predisposto i piani di attacco: bombardieri pronti a colpire le installazioni nucleari, le basi dei pasdaran e altri obiettivi selezionati; al tempo stesso i gruppi di opposizione delle etnie curde, azere e baluche sarebbero già state contattate dalle forze speciali e dall’intelligence per l’indispensabile apporto logistico sul “terreno”.
Washington confida sull’isolamento del regime di Ahmadinejad: il cui bilancio di “governo” è a dir poco fallimentare: l’inflazione ha raggiunto livelli inimmaginabili, la disoccupazione è ai suoi massimi storici; il secondo paese produttore di greggio dell’OPEC importa il 50 per cento della benzina di cui ha bisogno, ed è comunque razionata; i 125mila guardiani della rivoluzione e i 900mila basiji (le milizie popolari) condizionano e strozzano la vita di ogni iraniano, i pasdaran si sono impadroniti di tutti i settori chiave della società e il loro fanatismo rende ingovernabile ogni attività. Teheran inoltre è accusata di finanziare e sostenere le attività terroristiche in Iraq e in Afghanistan. Sono stati accertati rapporti di cooperazione con la Corea del Nord e il Pakistan, sono documentate le reticenze e gli ostacoli al lavoro degli ispettori di Vienna; già quattro anni fa sono stati scoperti laboratori di ricerca clandestini. Insomma: l’“avvertimento” di Kouchner è tutt’altro che infondato. “Si deve negoziare fino alla fine”, dice il ministro degli Esteri francese. Il problema è tradurre in iniziativa politica concreta un desiderio e un’aspirazione. Insomma, il classico: che fare? L’impressione è che in tanti, sull’orlo di un precipizio, continuino a ballare ad occhi chiusi.
FONTE: http://www.opinione.it/pages.php?dir=naz&a...059&aa=2007