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Versione completa: Michelangelo Antonioni E Ingmar Bergman
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Roberta 80
ROMA - Con Michelangelo Antonioni - morto ieri sera nella sua abitazione nella capitale, a 94 anni, assistito fino all'ultimo dalla moglie Enrica Fico - non se ne va solo uno dei grandi vecchi del cinema italiano e internazionale, amato e celebrato in tutto il mondo, come dimostra l'Oscar alla carriera ricevuto nel 1995. Con lui scompare anche uno stile davvero unico, all'interno della settima arte: quello di un regista che ha sempre fatto dell'occhio - quello della cinepresa, spesso apparentemente impassibile, e quella dell'autore che silenzionsamente la muove - il centro della sua visione poetica. In cui emergono l'incomunicabilità tra le persone, l'insufficienza delle parole, la solitudine. E poi, per contrasto, il potere dello sguardo, la perfezione dell'immagine.

Un modo di concepire, realizzare e "vedere" i film creata non solo con intenti estetizzanti, ma anche per far venire fuori, senza inutile retorica, l'interiorità e la psicologia dei personaggi. Con un tratto così particolare, e così coerente, da rendere vani i pur numerosi tentativi di imitazione. E senz'altro più adatto a una fruizione critica, o cinefila, che al grande pubblico. Una singolarità che Antonioni - autore di tanti e a volte controversi capolavori, a cominciare dagli eterni cult Blow up e L'avventura - ha tenuto ferma fino alla fine. A dispetto della malattia che negli ultimi anni gli ha impedito di parlare, ma non di comunicare attraverso le sue opere.

Classe 1912, ferrarese, una laurea a Bologna in Economia e commercio, Antonioni si accosta al cinema attraverso l'attività di critico per i giornali. Poi il trasferimento a Roma, dove frequenta il Centro sperimentale di cinematografia. Collaborando con autori del calibro di Roberto Rossellini. Ma è nella sua terra d'origine che realizza il suo primo documentario, il cui titolo dice già tutto: Gente del Po, anno 1947.

In quello stesso periodo, lavora anche come sceneggiatore, in pellicole importanti: Caccia tragica, di Giuseppe De Santis (1946), Lo sceicco bianco di Federico Fellini (1952). Il primo film che porta interamente la sua firma è Cronaca di un amore. Un'opera prima, ma già molto personale nei temi e nello stile: uno spunto quasi giallo, personaggi borghesi indagati nei loro moventi psicologici, una certa asciutezza. A questo esperimento, riuscito, seguono poi I vinti (1952) sulla crisi della gioventù europea; La signora senza camelia (1953), ambientato proprio nel mondo del cinema; Le amiche (1955) e Il grido (1956).

Ed è alla fine degli anni Cinquanta che arriva il suo primo, vero capolavoro, il film che molti cinefili, ancora oggi, considerano il suo migliore: L'avventura (1959). Pellicola così diversa dalle altre, così particolare, così raffinata, da suscitare, nella sua passerella a Cannes, reazioni assai contrastanti: forse per la lentezza, per il suo affidarsi alle immagini e agli sguardi, senza badare al ritmo. E che ha tra i protagonisti Monica Vitti, suo amore e sua Musa in questa fase della carriera.

E infatti, dopo L'Avventura, arrivano La notte (1960) e L'eclisse (1962), sempre con la Vitti. Così come Deserto rosso, anno 1964: il primo film in cui Antonioni accetta la sfida del colore, dopo tante produzioni in bianco e nero, e che gli vale il primo Leone d'Oro della Mostra di Venezia (il secondo, alla carriera, è del 1983). Ma il regista non si riposa sugli allori, anzi, allarga i suoi orizzonti anche all'estero: il suo eterno capolavoro Blow up (1966), ambientato in Inghilterra, vince la Palma d'oro al Festival di Cannes. Poco dopo, nel 1970, la sua quasi muta indagine sull'animo umano sbarca in America, con Zabriskie Point (1970). Gli Usa della contestazione giovanile e della musica rock (celebre la scena finale dell'esplosione, con musica dei Pink Floyd). Pochi anni più tardi, nuova pietra miliare: Professione reporter con Maria Schneider e Jack Nicholson (1975). E ancora, nel 1982, Identificazione di una donna. In cui, sulla falsariga di quanto già fatto da Federico Fellini con altri personaggi cinematografici giudicati di serie B, sdogana come interprete di serie A Tomas Milian, alias lo sbirro Monnezza.

A questo punto, il silenzio. Dovuto alla malattia che lo colpisce, che paralizza parte delle sue capacità comunicative. Ma il cinema - il suo cinema, così centrato sullo sguardo e così poco sulle parole o sui gesti frenetici - è più forte del male. E così, nel 1995, il maestro torna sul set, per girare, insieme all'amico e ammiratore Win Wenders, Al di là delle nuvole. E nel 2002, l'ultimo sforzo compiuto: l'episodio Il filo pericoloso delle cose, nell'ambito nel film a episodi Eros. Gli altri autori sono Wong Kar Wai, Steven Sederbergh, due cineasti più giovani di lui che sicuramente hanno assimilato la sua lezione. La pellicola partecipa alla Mostra di Venezia. L'ultima, girata da questo Grande del cinema.

E adesso - nello stesso giorno in cui si spegne un altro gigante, Ingmar Bergman - la fine: serena, in casa sua, accanto alla moglie. Domani in Campidoglio la camera ardente, dopodomani, nella sua Ferrara, i funerali.
(La Repubblica)

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STOCCOLMA - Il regista svedese Ingmar Bergman è morto. L'annuncio è stato dato dalla figlia, Eva, all'agenzia svedese TT. Si è spento serenamente nella sua casa sull'isola di Faaro, nel mar Baltico, all'età di 89 anni. Famoso per capolavori come Fanny e Alexander e Il Settimo Sigillo, aveva realizzato oltre 40 film nella sua lunga carriera ed era considerato una delle personalità più eminenti nel panorama cinematografico mondiale.

Nato a Uppsala, a nord di Stoccolma, il 14 luglio 1918, figlio di un pastore luterano della corte reale svedese, fu segnato dalla severa educazione religiosa. Studiò all'università a Stoccolma e si avvicinò alla regia dal teatro facendosi le ossa su Shakespeare e Strindberg.

Dal 1944 condusse una carriera parallela, teatrale e cinematografica, ottenendo fama internazionale con il cinema ma rimanendo legato in modo particolare al teatro. La sua prima pellicola, Crisi, è del 1945, ma il successo arrivò nel 1956 con Il settimo sigillo che ottenne diversi riconoscimenti oltre al premio speciale al Festival di Cannes. Arrivarono poi l'Orso d'Oro al Festival di Berlino e il premio della critica al Festival di Venezia per Il posto delle fragole (1957).

Successivamente Alle soglie della vita e Il volto gli valsero il premio per la miglior regia rispettivamente a Cannes e a Venezia, mentre nel 1960 La fontana della vergine gli fece ottenere il suo primo Oscar.

Il nome di Bergman è legato anche a Sussurri e grida (1972), Scene da un matrimonio (1974) e Sinfonia d'autunno (1978).

Nel 1982, dopo quarant'anni di attività, Bergman decise di abbandonare improvvisamente il cinema, per dedicarsi al teatro e alla televisione. Fu quello l'anno del suo ultimo film per il grande schermo, Fanny e Alexander, nato originariamente per la televisione, e ispirato sontuosamente alla sua infanzia e alla sua passione per lo spettacolo. La pellicola vinse quattro Oscar, compreso quello per la regia, il terzo della carriera del maestro svedese.

Nel 2003 girò Sarabanda, il seguito di Scene da un matrimonio, e sul set disse: "Questo è il mio ultimo film". E stavolta lo fu veramente. Nel gennaio 2005 Bergman ricevette il Premio Federico Fellini per l'eccellenza cinematografica.

Dalla morte della sua ultima moglie Ingrid, nel 1995, Bergman viveva solo per gran parte dell'anno sull'isola di Faaro, in cui ha anche ambientato diversi suoi film.

Comandante della Legion d'onore, membro dell'Accademia delle lettere svedese, drammaturgo, Bergman ha sondato i rapporti fra uomo e donna in una luce spesso tragica, dominata dall'angoscia dell'esistenza. Ha rivelato molto della sua vita privata e professionale in una celebrata autobiografia, La Lanterna magica. Sposato cinque volte, Bergman lascia nove figli.
(La Repubblica)
Hartigan
hai fatto bene ad aprire questo topic. Un piccolo tributo a due grandissimi, immortali interpreti delle arti visive.
Dandy Rotten
Le disgrazie non vengono mai sole.
Roberta 80
Credo che saranno il tormentone a sorpresa della
Mostra del Cinema di Roma, se non di quella di Venezia
dell'anno prossimo.
Bergman l'ho scoperto alle superiori; la mia profe di filo
ci fece vedere Il Settimo Sigillo. Secondo lei era la perfetta
sintesi del concetto di "Medioevo" come epoca storica, per
me era, al di là di questo, un film elegante e profondo
Senbee Norimaki
Domani a Ferrara i funerali di Antonioni. Spero che a livello locale ci si muova per qualche iniziativa, insieme al museo omonimo, per ricordare il nostro grande concittadino.
Roberta 80
Si, infatti! Il museo è molto carino ma avrebbe bisogno
di qualcosa in più!
Mi piacerebbe un sacco organizzassero una bella serie
di proiezioni di suoi film, magari davanti al Castello
Galen
Sarà carino, ma fare un museo su Antonioni senza metterci nulla inerente al Cinema è una presa per i fondelli. Se non ricordo male Antonioni aveva donato al comune molto materiale dei suoi film, ma è rimasto inutilizzato... mi sa che, come spesso si vociferava, aspettavano solo questa notizia. icon_frown.gif
FataFogna
qlcn è riuscito ad andare al funerale?... icon_rolleyes.gif
Stefano79
Onore a due grandi maestri del cinema sisi.gif
-laprimularossa-
CITAZIONE (FataFogna @ 2 Aug 2007 - 11:23) *
qlcn è riuscito ad andare al funerale?... icon_rolleyes.gif


Io ci son stato...indescrivibile l'atmosfera...le parole di Tonino Guerra da pelledoca...
Senbee Norimaki
Purtroppo non sono riuscito ad andarci. Mi hanno detto che Tonino è stato - come sempre - straordinariamente toccante. C'era anche Wim Wenders. Ho visto qualche cosa al TG3 regionale.
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