" (tenuto da una cara amica del Cicap) un commento meravigliosamente scritto e straordinariamente istruttivo sull'ennesimo caso falso di zingari rapitori di bambini:
I ladri di bambiniPuntuale come una crisi di governo, ecco uno dei nostri soliti evergreen che si riaffaccia in questo scorcio di Carnevale, per la sua prima apparizione formale del nuovo anno:
la saga degli Zingari Rapitori.
L'ennesimo potenziale
avvistamento in un campo nomadi di un bambino scomparso, con conseguente
irruzione nella vita privata di una famiglia,
sottrazione istituzionalizzata di minore e imposizione di un test genetico coatto, si è concluso di lì a poco con un responso negativo. Come qualunque spettatore sano di mente avrebbe dato per ovvio in partenza.
I media si rassegnano a
intervistare i genitori della bambina mai ritrovata, che da qualcosa come
dodici anni incassano
periodicamente qualche colpo straziante di falsa speranza e di delusione.
I sentimenti della giovane zingara coinvolta nell'equivoco e delle persone a lei vicine
non sono pervenuti.
Un attimo, forse la dinamica non è abbastanza chiara:
una ragazza minorenne è stata prelevata in modo sbrigativo dalla forza pubblica e costretta a sottoporsi a un test genetico in fretta e furia, presumibilmente senza venir informata dei propri diritti né assistita da un avvocato,
perché un perfetto sconosciuto l'aveva intravista confusamente e si era convinto di riconoscere nei suoi lineamenti quelli di una bambina che svanì tragicamente
a tre anni, che oggi se è viva ne ha quasi
quindici, e che naturalmente lui aveva visto solo in foto.
Se
uno zelante magistrato disponesse un provvedimento del genere
sulla pelle di un ragazzino dell'etnia giusta, scatenerebbe uno scandalo di proporzioni kaliyugiche: le grida di indignazione dei
paladini dell'infanzia violata costringerebbero il malcauto togato a una
forca caudina ben peggiore di quella riservata a
chi indaga sulle mogli dei ministri.
E invece eccoci: per l'ennesima volta, a rinverdire le ferite disturbanti di un caso celebre e doloroso mai risolto, una
vaghissima segnalazione arbitraria, di evidente improbabilità, viene
presa sul serio solo perché ci sono di mezzo dei Rom. Da anni, pare, è considerato normale correre a perquisire un campo nomadi al primo allarme per un bambino scomparso; da anni i campi stessi si popolano oniricamente di
eserciti di pietosi cloni di
Angela, di
Denise, di
Salvatore e Francesco, ultimamente anche di
Madeleine, tutte segnalazioni cui viene offerta incredibilmente una legittimità sproporzionata. E solo perché ci sono di mezzo dei Rom,
i metodi di indagine più bruschi e irrispettosi si abbattono senza alcuna precauzione su persone innocenti fino a prova contraria, e anche su
bambini e adolescenti che in qualunque altra circostanza sarebbero stati trattati con giuste tutele speciali.
Andiamo infatti a vedere come viene gestito, di routine, in Italia,
un caso autentico e indubbio di bambino rubato. Una brillante coppietta di professionisti benestanti, per scavalcare le lunghe e restrittive pratiche necessarie per l'
adozione, pensa bene di
procurarsi un pargolo sottobanco, contrattando l'affare con un'anonima ragazza madre straniera. E se lo incamera con un vecchissimo trucco, molto popolare nell'
Italietta di vitelloni e madonne del tempo che fu: la metà maschile della coppia
confessa una relazione adulterina con l'immigrata e
riconosce il figlio come proprio, la consorte dichiara tutta felice di
aver perdonato la scappatella e di non vedere l'ora di allevare il frutto della colpa, e in base a una normativa regolare, che è sempre esistita, l'
affidamento "pulito" viene concluso con tutte le carte a posto.
Soltanto in seguito emerge il sospetto che in quel riconoscimento ci sia qualcosa che non va; si apre un'inchiesta, e dal solito onnipresente test genetico risulta evidente che
la paternità è farlocca.
Nessun chiarimento può essere chiesto, peraltro, alla
madre naturale, che si sarebbe prontamente dileguata subito dopo il parto verso le brume nostalgiche del suo paese, e di cui forse nessuno, neppure il suo dubbio amante, conosce il vero nome. Neanche di quale paese si tratti, ci viene detto, se non genericamente di
"un Paese dell'Est", di quei notori e ambìti
distributori automatici di bellezze bionde per consumisti occidentali.
Scoperto l'inganno, cosa fa il magistrato competente? Sospende immediatamente la patria potestà alla coppietta di
trafficanti di umani, responsabile di una
vessazione odiosa sulla pelle di un bambino innocente, e ne avvia le pratiche per un eventuale
affidamento regolare a una famiglia onesta? No. Oppure
forse. Si riserva di decidere in seguito. Ma nel frattempo
lo lascia dove sta, nomina
un avvocato a tutela dei suoi interessi, e mette sotto al lavoro
psicologi e assistenti sociali, perché stendano una relazione dettagliata sullo stato psicologico del piccolo e sulla sua vita di relazione familiare, per valutare se l'allontanamento sia compatibile con le sue esigenze affettive.
Uguale uguale a come è stata trattata la ragazza rom, no?
Il padre fasullo, tentando il tutto per tutto, ha giocato l'ultima carta scontata, quella di
scaricare l'intera responsabilità sulla madre invisibile:
"...e quella schifosa me l'aveva fatto credere davvero, che il figlio fosse mio, che colpa ne ho se nel frattempo si faceva mezzo mondo, come accidenti dovevo fare a saperlo?" Singolare indignazione di innamorato tradito, nelle parole di uno che in quel momento, a suo dire, stava a sua volta tradendo la propria moglie, tanto irreprensibile e abnegata da adottare il bambino su due piedi.
Per tutelare sul serio la dignità dei minori, in Italia, ci vuole poco: già aiuta molto la certezza che
gli zingari rubino i bambini mentre i commercianti pugliesi si limitano ad accoglierli con amore, ma è fondamentale anche quella che
la moglie è santa e l'amante è troia, fino ad arrivare al Family Day. Sperare che si arrivi a qualche finezza più elevata, la vedo difficile.