1 su 1000 nelle carceri italiane si suicida (altissime pure le statistiche sul personale penitenziario): che ci sia qualche cosa che non va? (la domanda è retorica) Il dato è ancora più grave se consideriamo che molti di loro erano presunti innocenti in quanto in attesa di giudizio. Anche in Francia coi suicidi stanno sui nostri livelli... la differenza sta però nel fatto che FUORI dal carcere il loro tasso di suicidio è tre-quattro volte il nostro (quindi nelle nostre carceri il tasso di suicidio è 3-4 volte quello francese se li raffrontiamo entrambi ai tassi di suicidio relativi alla popolazione non ristretta).
Il caso Cucchi ha fatto emergere sui media ciò che i ben informati sapevano da ANNI. Speriamo che la cosa (sui media) duri visto che la Politica di concreto in queste settimane ha giusto giusto fatto una nuova proposta di "legge ad personam" (a voler pensar male s'intende, non faccio un processo alle intenzioni ma quella legge a detta di molti giuristi è fatta coi piedi ma, guarda caso, benissimo dal punto di vista dell'"utilità ad personam") e, quindi, senza una forte presa di coscienza individuale e collettiva ci metterà i soliti tempi italiani per combinare qualcosa... questa volta di buono si spera.
16 anni, orfano, vittima del proibizionismo e delle carceri italiane
Rudra Bianzino ha raccontato la drammatica vicenda che ha coinvolto lui e la sua famiglia. Rudra, studente liceale, sedicenne, è rimasto solo, senza padre, senza madre.
Il racconto di Rudra Bianzino:
http://www.youtube.com/watch?v=eNBq1h9lKxw
Il racconto della vedova, ora defunta, Bianzino dalla trasmissione "Le Iene":
http://www.youtube.com/watch?v=TsXREOj7Aaw
Il padre, Aldo, nonviolento, artigiano, amante della natura, è morto nella notte tra il 13 e il 14 ottobre 2007 in circostanze ancora da chiarire, poche ore dopo l'arresto per coltivazione e detenzione di marijuana. Le cronache parlarono inizialmente di decesso per un malore naturale. Ben presto, si capì, però, che forse le cose erano andate diversamente.
Un primo esame mise in evidenza lesioni agli organi interni, presenza di sangue in addome e pelvi, lacerazione epatica, lesioni all'encefalo, a fronte di un aspetto esterno indenne da segni di traumi. Una seconda autopsia, del novembre 2007, accreditò la tesi della rottura di un aneurisma cerebrale. Pur accettando l'ipotesi del medico legale, si affermò che l'emorragia cerebrale potesse essere stata causata da un forte stress di tipo fisico con improvviso rialzo della pressione.
Prima di ascoltare la testimonianza di Rudra, al congresso radicale è stato proiettato un video con un'intervista delle Iene alla madre, Roberta Radici. E' probabilmente l'ultimo documento lasciatoci dalla compagna di Aldo. Il dolore ha, infatti, infierito sul suo corpo già malato. Roberta non ce l'ha fatta. Si è spenta affidando a noi l'impegno a chiedere verità e giustizia sulla morte di Aldo.
Oggi Emma Bonino, Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, al presidio davanti al tribunale di Perugia per chiedere che venga fatta piena luce sulla morte di Aldo Bianzino. La mobilitazione, fissata per le 8:30, é organizzata dai Radicali italiani e dal comitato "Verità e giustizia per Aldo" con la partecipazione degli amici di Beppe Grillo di Perugia.
C'é un filo rosso che lega il caso di Aldo Bianzino a quello di http://www.ferraraforum.it/index.php?showtopic=19379, entrambi morti in carcere a causa del proibizionismo. Entrambi i casi dimostrano come il proibizionismo sia il vero crimine di questo paese perché affolla le carceri, crea vittime innocenti, come Rudra.
Vorrei il tuo aiuto per far diventare questo caso nazionale, per chiedere che si parli di proibizionismo, malagiustizia e sovraffollamento delle carceri.
basato su di una lettera di Mario Staderini (R.I.).
l'appello a sostegno di Rudra Bianzino: http://www.radicali.it/appello_bianzino/form.php
Caso Bianzino vietato il silenzio - da L'Unità del 11 dicembre 2009: http://www.radicali.it/view.php?id=150542 (di Luigi Manconi)
Rudra Bianzino, orfano
La Commissione D'Inchiesta parlamentare ha appurato come Stefano Cucchi sia stato effettivamente brutalmente pestato in carcere sebbene le lesioni procurate non siano state la causa diretta della sua morte.
Cucchi ha perso in meno di una settimana 10 kg di peso in seguito ad uno sciopero totale della fame e della sete ad oltranza intrapreso per denunciare i diritti che gli stavano venendo negati fra cui il vedere un suo legale. I medici del carcere-ospedale Pertini (mai dedica fu più inappropriata per un simile luogo) non avrebbero impedito la lenta agonia del ragazzo che poi l'ha portato alla morte nella sua battaglia nonviolenta per rivendicare il rispetto dei diritti che gli spettavano per Legge.
Secondo la Commissione risulterebbe evidente come i medici, probabilmente per alleggerire la loro posizione penale in vista di una denuncia certa che sarebbe stata rivolta contro di loro, avrebbero messo in scena la rianimazione del ragazzo 3 ore dopo la morte.
Sul referto hanno mascherato la morte come "morte naturale".
Questo succede nelle carceri italiane.
Stafano Cucchi dopo il pestaggio subito mentre era sotto la tutela dello Stato Italiano
dall'articolo "Ucciso come Stefano Cucchi. Prima le sevizie, poi la morte"
Giuseppe Uva è stato fermato alle 3a.m. in stato di ebbrezza da una volante dei Carabinieri e trasportato in una caserma contemporaneamente ad un altro fermato nella stessa notte, un suo amico.
I due amici vengono mantenuti separati in caserma e per un lunghissimo lasso di tempo si sentono chiaramente le urla di Uva provenienti da una stanza in cui era stato rinchiuso con numerosi carabinieri e poliziotti. L'amico grida ai presenti di smettere di massacrare Uva e viene minacciato di subire la stessa sorte. Verso le 4 l'amico riesce a chiamare il 118 col suo cellulare.
Alle 5 del mattina i carabinieri richiedono per Uva un TSO (trattamento sanitario obbligatorio; spesso, non dico in questo caso, come si apprende dalle testimonianze trasmesse su RadioCarcere ( http://www.radioradicale.it/scheda/299656 ), trattamenti sanitari obbligatori o periodi di detenzione in OPG, ospedale psichiatrico giudiziario [ciò che permane ancora nella nostra società, nonostante la Legge Basaglia, dei vecchi e cari manicomi: non vedere per non sentire, non sentire per non sapere], vengono richiesti per punire soggetti detenuti a cui si vuole dare "una lezione", anche se questi non hanno alcun problema psichiatrico; sono infatti trattamenti spesso umilianti e centri dove la vita è ancora più non degna di essere vissuta di un carcere. C'è chi è stato punito per oltre un anno passato in cubicoli con persone non sane di mente dicendo che quando entri da sano in un simile posto è poi facile uscirci con forti traumi psicologici) nonostante sia alquanto singolare che una persona ubriaca venga sottoposta ad un trattamento che dovrebbe essere riservato esclusivamente a persone con problemi psichici (venne richiesto un simile trattamento ad esempio alla ragazza che saltò addosso al corteo del Papa in San Pietro durante le scorse feste natalizie). Alle 10:30 Uva muore nel reparto psichiatrico dell'ospedale in cui è stato internato.
Dagli esami tossicologici risulta come gli siano stati somministrati farmaci, fra cui psicofarmaci, TASSATIVAMENTE controindicati in caso di assunzione di alcool. L'arresto cardiaco è stato provocato da questo "errore".
La salma di Uva è stata trovata supina e senza vestiti, con ecchimosi sul naso, sul collo, che proseguivano su tutta la schiena; di queste lesioni non v'è traccia nel verbale di accettazione nell'ospedale.
Dal verbale si apprende che Uva era privo di slip e che i suoi vestiti della parte inferiore del corpo erano intrisi di sangue. Vistosa macchia di liquido rossastro fra il pube e la zona anale: segni di sevizie subite durante il fermo?
A distanza di 21 mesi dalla morte di Uva risultano indagati esclusivamente due medici mentre si è proceduto per ignoti per le violenze nonostante il fatto che i nomi del personale che era in caserma nella notte del pestaggio siano noti.
articoli: http://www.unita.it/news/italia/96401/ucciso_come_stefano_cucchi_prima_le_sevizie_poi_la_morte
http://www.beppegrillo.it/2009/11/giuseppe_uvaunaltra_vittima_di_stato.html
http://www.repubblica.it/cronaca/2010/03/20/news/varese_pestaggio-2778623/
Giuseppe Uva, morto mentre era sotto la tutela dello Stato Italiano
http://www.voceditalia.it/articolo.asp?id=50868&titolo=Ferrara,%20pestaggio%20in%20caserma
A Ferrara continuano a pestare le persone...complimenti
La commissione d'inchiesta sull'efficacia e l'efficienza del Servizio sanitario nazionale ha desecretato tutti i documenti e le audizioni in merito al caso di Stefano Cucchi.
In fase di voto è emersa la contrarieta' di alcuni deputati del Pdl guidati dalla senatrice Laura Bianconi e dal senatore Michele Saccomanno. La Lega Nord si e' astenuta, solo sei senatori del Pdl hanno votato contro, gli altri non si sono presentati alla votazione. Dieci i voti a favore (Pd, Idv, Io Sud).
comunicato: http://www.radicali.it/view.php?id=156401
più che altro.. "a FERRARA continuano". cosa credi, che accada solo nella nostra questura? ingenua.
me lo immaginavo.
appena ho letto la notizia.
mi aspettavo il tipico commento contro i carabinieri.
sia chiaro non sono dalla loro parte,solo che non si può parlare senza sapere niente.
Ho scritto "a Ferrara continuano" perchè non è certo il primo caso qui, ovvio che succede anche in altre caserme.
E si, faccio i complimenti, perchè il filmato è ripreso interamente, la violenza e il pestaggio si vedono chiaramente, chi lo attua è un carabiniere, che al momento è indagato.
Hai visto il video, almeno?
Ecco, io si.
Ci sono tanto di manganelli e di carabinieri.
Quindi, smettiamola di difenderli a prescindere.
Io non accuso l'intera arma dei carabinieri, mai fatto e non ce ne sarebbe motivo.
Ma le teste calde che fanno questi gesti si, e non possiamo far finta di nulla solo perchè hanno una divisa. Il loro dovere è far rispettare le leggi, ma non con la violenza lì dove non è necessaria.
Tanto lo vediamo che fine fanno...i ragazzi muoiono a suon di botte botte e loro lì senza scontare nulla (e di casi del genere ce ne sono anche troppi).
link video?
Roby mi ha preceduta, comunque si, il video è autentico (telecamere di sorveglianza della caserma), si vedono perfettamente i carabinieri, uno di essi è ufficialmente indagato.
Tant'è che sui giornali è apparsa anche l'intervista ai due avvocati difensori
la sinistra è stata al governo, quindi anche i radicali, di recente e per due anni e mezzo (Prodi), ma mi pare che sull'argomento non abbiamo fatto molto, direi niente, o sbaglio?..... naturamente la mia è una provocazione.
mi viene però un dubbio: che sia perchè quando sono al governo gli fa comodo cosi? e quando sono all'opposizione lo possono usare per propaganda?
ho letto di uno, che condivido, che parlando della Senatrice Giuliani diceva:.... è al governo, quindi per legiferare, invece partecipa a manifestazioni, dibattiti, ecc. ecc. sulle forze dell'ordine, cambiare le cose è troppo difficile?.... com'è strana la politica....
C.V.D.
Il Giudice ha dato alle "vittime" dell'aggressione una condanna addirittura più aspra di quanto chiesto dal PM.
Si profila l'archiviazione per i carabinieri perchè il video, le testimonianze e le perizie mediche non combaciano con le dichiarazioni dei quattro fermati.
Avete giudicato troppo frettolosamente. Ora sarebbe bello che si desse alla notizia lo stesso risalto nazionale che è stato dato allo scandalo del video.
In ogni caso trovate tutto http://www.estense.com/botte-in-caserma-sentenza-che-scagiona-i-carabinieri-063586.html
Dall'articolo di estense.com:
Quello che tu dici sugli avvocati d'ufficio è vero. Però, per lo stesso ragionamento, oltre ad uno scadente avvocato difensore, a questo processo ha preso parte anche un PM altrettanto scadente. Se si considera la netta presa di posizione del giudice sulla questione comminando una pena più dura di quella richiesta, non si può non considerare come effettivamente agli occhi del giudice deve essere parsa più nitida la colpevolezza dei 4 rispetto a quanto non sia apparsa al PM che doveva perorarla...
Di questo caso non so quasi nulla nè ho mai scritto nulla di articolato in passato. Ho solo visto il filmato al TG3 e sentito una rapida descrizione del caso in quel servizio (fra cui le affermazioni ai giornalisti dei difensori degli imputati membri delle f.d.o.), ho poi postato qui il link al filmato completo in cui mi sembrava evidente ciò che si vedeva.
Se avessi scritto per primo di questo fatto non lo avrei fatto qui visto che tecnicamente è http://it.wikipedia.org/wiki/Off_topic.
Anche ora ho solo constatato che quei 4 si sono fatti difendere da un avvocato d'ufficio, non ho altro da dire perchè come ho detto non ho seguito la cosa. La volta in cui Berlusconi lasciò andare l'avvocato d'ufficio (una ragazza sui 30 anni che non aveva esperienza) ad un'udienza, tutta la stampa ne parlò perchè la cosa stride alquanto (gli avvocati d'ufficio non vengono considerati il massimo per difendersi, chissà perchè.... ). L'avvocatessa 30enne si limitò a recitare un paio di frasi, il compito in quel caso era molto semplice, una formalità.
Sono seduto
Stamattina sono passato accanto al carcere di San Vittore e per la prima volta ho visto aperta una porticina che dà su Viale Papiniano: c’erano diverse persone in attesa, sul marciapiede. Mi sono chiesto se aspettassero l’uscita dei loro cari – ma quello è un rito che mi sembrava di aver notato si consumasse sull’altro lato, su via Vico – o se fossero parenti in visita. Li ho guardati, figurine accalcate nel freddo sotto un muro alto alto e lungo lungo, accanto a una porticina, e ho pensato che sembrava un disegno di Gipi. E ho pensato anche a quando tra quelli lì c’ero anch’io, e che non devo dimenticarmene mai. Ci scrissi una cosa lunga, allora, dieci anni fa.
Sono seduto su questa sedia arrugginita da venti minuti. Oggi è sabato e c’è da aspettare. Sento le voci che si schiacciano a vicenda e i bisbiglii che cercano di sgattaiolare nel rumore. Tra poco la porta verniciata di grigio a un metro dalla punta delle mie scarpe si aprirà, preceduta da uno scrocco di chiavi, e una successione di bambini accompagnati da una signora grassoccia uscirà improvvisamente, sorpresi gli uni e l’altra della mia presenza da questa parte. O forse una coppia un po’ anziana, o una giovane ragazza zingara. Ritrarranno lo sguardo a meno che io non sia abbastanza veloce da dir loro buongiorno e offrirgli il modo di ricambiare. Attraverseranno i pochi metri di cortile e se sono nuovi aspetteranno un po’ di fronte alla porta blindata dall’altra parte, prima di azzardarsi a suonare il campanello perché qualcuno venga a lasciarli passare, mentre io supererò la porta di legno verniciata di grigio e aspetterò che la guardia la chiuda per venire ad aprirmi la blindata successiva. Ma intanto sto qui, sulla sedia arrugginita, a guardare la porta grigia, pitturata maldestramente, a un metro dalla punta delle mie scarpe, e le gocce di vernice che si sono solidificate in basso, sopra lo zoccolo. Ci sono delle ragnatele che pendono dal soffitto. A essere precisi non sono vere ragnatele, piuttosto dei filacci neri aggrovigliati. Saranno vecchie ragnatele abbandonate dal titolare? O tutta un’altra cosa? Fanno schifo, comunque, ci vorrebbe un entomologo.
Frequento questo carcere da tre anni e mezzo. I parenti dei detenuti sì che entrano ed escono dalle carceri continuamente, altro che i delinquenti impuniti. Mi immagino il giudice D’Ambrosio anziano, in pensione, seduto su una panchina dei giardini qui di fronte che mi vede arrivare, stamattina, ed entrare. Scuote la testa e mi indica al giornalista pensionato della panchina accanto, tirandogli la manica della giacca: “Vedrà che lo faranno uscire dopo un paio d’ore, come al solito”.
Il carcere dei parenti è un carcere a parte. Una terra di nessuno, una via di mezzo tra il fuori e il dentro. Niente che possa essere paragonato alla disumanità del carcere dei detenuti, niente che possa essere paragonato con l’umanità della vita fuori. Un giro sulle montagne russe: dura poco, ti stravolge e ti rimette coi piedi per terra e la sensazione di avere sognato. Ma poi ti abitui.
Questo carcere ha le sue regole. Regola uno, le regole non si discutono. Non perché sia vietato, ma perché non c’è niente da discutere. Come l’esistenza di Dio, per capirsi. Immaginate di poter discutere una regola come “non si possono mostrare ai detenuti foto di assembramenti”? È saltata fuori una volta che avevo portato a mio padre delle foto di persone a lui care, scattate a un incontro pubblico sulla sua storia. E così via. Le regole prevedono che il detenuto possa ricevere quattro visite al mese, ciascuna di tre persone al massimo, tutti familiari, o persone di strettissima e certificata relazione, ciascuna visita della durata di un’ora. Le visite possono diventare sei, se il detenuto ha tenuto una buona condotta durante il mese, guadagnandosene due premiali. Per avere le visite premiali però bisogna fare domandina. Parla così, il carcere, dice “premiali”, e “familiari”, e dice “domandina”. Un misto continuo di burocratese da motorizzazione civile e linguaggio da asilo nido.
Beh, questo è un mese che mio padre si è comportato bene, a quanto pare. Ha fatto domandina per le visite premiali. E dato che siamo una famiglia poco numerosa, oggi sono qui da solo. Da soli è meglio, si riesce a parlare un po’ senza preoccuparsi di togliere tempo alle altre persone che sono venute. Un’ora passa in fretta, da soli. Invece quando siamo due o tre, tutti sono sempre un po’ imbarazzati a dire cose che non sembrano all’altezza della situazione, della rara occasione di stare un’ora assieme. I discorsi si spezzano continuamente. Ci guardiamo. E mio padre dice cose tipo “ma che siete venuti a fare?”, oppure “quanto dura oggi quest’ora?”. Allora qualcuno comincia a raccontare anche le cose che non sembravano all’altezza. E infatti non lo erano, il più delle volte. Ci sono dei giorni che queste visite sembrano davvero stupide.
La porta verniciata di grigio si apre, ed esce una coppia meridionale che conosco, con un ragazzino. Lui è un uomo enorme e calvo, con un gran sorriso e delle mani che te la stritolano.. Hanno il figlio maggiore qui per cose di droga e vengono su due volte al mese da chi si ricorda dove. I genitori che vengono a trovare i loro ragazzi arrivano combattuti tra il desiderio di abbracciarli e portarseli a casa in braccio e quello di prenderli a schiaffi dall’altra parte del muretto divisorio. “Sono ragazzi”, risponde mio padre alle mamme che dicono “mi fa diventare matta”. Le mamme sono sempre delle donne molto piccole, che hanno dei figli grandi e grossi e coi capelli lunghi. Quando si incontrano, i ragazzi si mostrano esageratamente di buonumore: un po’ per consolarle e un po’ per fare i bulletti. A volte piangono, le mamme, e allora i ragazzi si arrabbiano. Alcuni, quando litigano con i parenti, a un certo punto cominciano a chiamare la guardia e a fare segni perché vengano ad aprire la porta per farli rientrare in cella. Succede più spesso tra i fidanzati. Deve essere una cosa terribile separarsi così, fino alla prossima volta. Come riattaccarsi il telefono in faccia, ma molto peggio.
Ci sono anche dei ragazzi di buona famiglia che si sono messi nei casini con la droga. I loro genitori si riconoscono, sono più rigidi, come se sentissero che il luogo richiede una particolare solennità, o non volessero mostrarsi troppo fuori luogo. Hanno modi più silenziosamente severi, si vede che passa una tensione fra loro stessi. Il figlio tiene la testa bassa o rivolta da un’altra parte, mentre parlano. Aspetta che vadano. Pensa a far finire presto quest’accidente capitato nel mezzo di un corso di studi diligente e proficuo.
Quando entro nello stanzone, dopo aver superato un’altra porta blindata, non riesco a far caso a chi ci sia oggi. La sala è piena di gente. È una stanza lunga, sarà una dozzina di metri, e larga poco più di tre. È divisa per lungo da un muretto alto un metro e qualcosa, che separa detenuti e visitatori. Non è come nei film, non c’è il vetro e il telefono: ci si può toccare e baciare e far sgattaiolare i bambini piccoli dall’altra parte del muretto, se le guardie sono in buona. Nel carcere di Bergamo, dove misero mio padre per due mesi quando questa storia cominciò, invece ci si sedeva a dei tavoli di legno. Ma non me ne ricordo granché, sarò andato al massimo tre volte. Una, c’era mia nonna che era ancora viva. Qualche anno fa mio zio Gianni ha raccontato sull’Unità quella visita e tutti abbiamo pianto per mezza giornata.
In questa stanza, dalla parte dei detenuti, c’è anche un divisorio di vetro che arriva al soffitto e serve per separare gli uomini dalle ragazze. Però a volte non c’è posto abbastanza e allora anche gli uomini vengono fatti accomodare da quella parte lì. Oppure, certi detenuti vanno a trovare una ragazza del femminile con cui hanno fatto amicizia o si sono fidanzati, e allora per un’ora passano dalla parte dei visitatori. Non so se sia che hanno richiesto loro la visita, o per cavalleria. In fondo alla sala, dietro a un altro pannello di vetro, stanno le guardie. Tengono d’occhio che non succeda niente di illecito, credo. Io non ho mai visto niente che mi sembrasse illecito, e forse neanche loro, quindi qualche volta decidono di richiamarci perché siamo appoggiati troppo addosso al muretto e gli copriamo la visuale. Quando c’è poca gente mio padre preferisce che ci mettiamo contro il muro vicino all’entrata, dalla parte opposta delle guardie. Non che abbiamo mai fatto o detto niente che volessimo nascondere. Ma una specie di paranoia, o di desiderio di riservatezza, ti porta a cercare di guadagnare a un po’ di discrezione qualsiasi cosa fai.
Tra di noi, il più discreto è mio zio Gianni. Qualsiasi cosa debba dire, la dice a voce bassissima e guardando in giro con aria distratta. Il più delle volte si tratta di cose tipo “ti saluta tanto zia Ada”, ma quasi sempre nessuno capisce esattamente. Gianni è l’unico con la testa a posto in famiglia. Ma molto, molto, a posto. Dice cose come “in questa fase dobbiamo fare molta attenzione”, oppure “sarebbe opportuno che tu gli facessi una telefonata”. Se non c’era Gianni stavamo freschi. Cioè, molto più freschi di così. Quando eravamo piccoli, io e mio fratello Nicola non lo vedevamo tanto di buon’occhio perché teneva con nostra cugina un regime a nostro modo di vedere piuttosto rigido. In sostanza, non le permetteva, e quel che era peggio neanche a noi quando eravamo da loro, di leggere Topolino a tavola. Noi, mai fatto conversazione a tavola. Siamo passati da Topolino alla televisione. Mia madre a un certo punto, quando eravamo piuttosto cresciuti, ha cominciato a proporre di spengerla, ma l’abbiamo trattata come se fosse impazzita e ha lasciato perdere.
Ora che ci penso, una cosa illecita l’abbiamo fatta una volta, stando attenti che non ci vedessero. Era un giorno che non mi ero tolto l’orologio. Quando passi la prima delle settecento porte che ti fanno attraversare, devi posare tutto quello che hai in un armadietto ammaccato di cui ti porti via la chiave sapendo benissimo che lì hanno libero accesso solo le guardie, quindi se ti danno la chiave è per non farti fregare la roba dalle guardie, e che se alle guardie gira così, aprono l’armadietto ammaccato e si pigliano quello che vogliono. Comunque, nell’armadietto devi mettere tutto quanto, cioè l’orologio, le chiavi, il portafoglio, il telefonino, le monete, tutto quello che hai nelle tasche, i gioielli, la sciarpa, gli scontrini del bar, la penna, tutto quanto. Su alcuni oggetti la giurisprudenza non si è ancora formata, tipo gli occhiali, e allora qualche volta puoi tenere gli occhiali e qualche volta no. Io le prime volte andavo con degli appunti di tutte le cose che dovevo dire a mio padre, delle persone che mi avevano chiesto di dirgli altre cose, delle questioni per cui avevo bisogno di sapere il suo parere. Ma non si poteva portare un pezzo di carta scritto. Nemmeno uno bianco, comunque. Così cominciai a scrivermi le cose sul dorso della mano, come a scuola il giorno che interrogano. Mi ero anche figurato che facessero delle obiezioni e del caso che poteva nascere con loro che pretendevano di lavarmi le mani e io che minacciavo di tatuarmi. Ma non dissero niente, naturalmente. In genere, quando prepari le scuse e le contromisure migliori del mondo, nessuno te le chiede. Da allora, vado spesso con le mani scritte, e sono la prima cosa che mio padre guarda quando arrivo, per capire se è una giornata indaffarata o no.
Fatto sta che spesso ti dimentichi di posare proprio tutto, o di guardare in ogni tasca, e l’agente che ti perquisisce se ne accorge e tu sei un po’ imbarazzato, come se ti dovessi vergognare di aver cercato di introdurre una moneta da cento o un biglietto del bus in carcere. Ma quella volta non se ne accorse, e dopo, quando eravamo dentro, scoprii di avere ancora lo Swatch col cinturino di pelle, che è il mio preferito tra i miliardi di Swatch che mi sono comprato. Una cosa un po’ idiota, lo so. Così mio padre mi chiese di passarglielo subito, che in carcere era proibito tenerne uno e lui non aveva niente per vedere che ore sono, e abbiamo fatto questo imbroglio senza che nessuno ci prestasse caso.
Che poi non è che l’orologio o mille altre cose non si possano tenere in carcere: solo che non si possono ricevere da fuori. Una volta che sono dentro, pazienza. In teoria, credo, dovresti comprarle allo spaccio interno. La volta che ci ho pensato mi è sembrato anche un bel business: più cose vietano, più ne vende lo spaccio. A pensar male si fa presto, e pare anche brutto.
In realtà il carcere non è così cattivo come nei film americani, tipo Brubaker, o Quella sporca ultima meta (che ho visto tutti e due con mio padre al cinema America di Roma): è molto, molto stupido. Sai quei compagni di scuola stupidi che per fare gli spiritosi o per fregarsi il tuo kinder brioss, ti danno una spinta mentre parti in bici e ti fanno fratturare una clavicola? Il carcere è come il più stupido dei compagni di scuola stupidi. Bisognerebbe dargli un fracco di botte, in realtà.
Tra le cose più stupide che vediamo noi di fuori (quelli dentro secondo me ne vedono di stupide e anche di cattive), c’è la selezione del pacco. Il pacco si chiama proprio così ufficialmente, come la domandina, ed è fatto delle cose che si possono portare al detenuto quattro volte quattro al mese. Unica regola chiara: il pacco pesa al massimo cinque chili. Regole su cosa ci può stare e cosa no: nessuna. È tutto affidato a una lista sterminata che sta affissa accanto all’ingresso dei visitatori. Quel che è nella lista non entra, il resto sì, salvo casi senza precedenti che vengono discussi, in genere rifiutati e aggiunti in coda alla lista. La lista è stata battuta a macchina e fotocopiata una prima volta, poi via via sono state aggiunte altre voci con una biro blu e una nera, con un pennarello arancione e con uno nero piuttosto consumato.
Noi le prime volte sbagliavamo tutto, a cominciare dal peso. Le guardie lì hanno una bilancia tipo salumiere ma di quelle con la lancetta, non quelle con i numerelli elettronici di adesso. E cinque chili, si fanno in un baleno. Esempio: due asciugamani, tre camicie, tre paia di calzini, una decina di albicocche (snocciolate, rigorosamente). Cinque chili. Così, capitava (ora siamo più bravi) di doversi riportare a casa una vaschetta di mozzarella (affettata, rigorosamente), un accappatoio (senza cappuccio, rigorosamente) o una coperta (senza orlo, rigorosamente). Le scarpe, poi, fanno voce a parte. Per le scarpe ci vuole la domandina.
Comunque io oggi il pacco non l’ho portato, che questo mese abbiamo già esaurito i quattro di bonus. Mentre aspetto, molti dei visitatori finiscono la loro ora e vengono fatti uscire. È quasi l’una e io sono arrivato per ultimo. Così, per fortuna, non bisognerà pigiarsi l’uno accanto all’altro, tra sorrisi e gentilezze solidali e fastidi di scarsa intimità. E il posto accanto al muro in fondo è libero. Quando si apre la porta dall’altra parte e mio padre entra, sorride, saluta con la testa in giro per la stanza, e mi fa cenno con l’indice di andare lì, in fondo.
http://www.wittgenstein.it/2010/03/08/sono-seduto/
della Francia cosa dici?
(aiutami a far star bene gli onesti che dopo io ti aiuto a far star bene i .... diciamo quelli un po' meno)
Che c'entra la Francia tabacon? Infatti, se fossero in una situazione di maggiore illegalità rispetto a noi, cambierebbe qualcosa? Comunque http://www.ferraraforum.it/index.php?showtopic=19446&view=findpost&p=671252 rapportando i differenti dati del tasso di suicidi di chi nei due paesi non sta scontando una pena detentiva.
Per quanto riguarda la tua riproposizione del tema fra parentesi, non vorrei pormi sul piano delle distinzioni su chi è torturabile o giustiziabile e chi no; mi pare infatti che tu abbia velatamente lasciato intendere in passato di ritenere queste cose ammissibili visto che in più di un'occasione quando si parla di questi temi non sembri escludere di intendere che chi ha commesso un reato sia feccia a vita o che comunque non deve per forza godere di tutti i diritti fondamentali (i diritti fondamentali devono valere sempre, non si deve MAI entrare nel merito di chi ha fatto cosa: e in Europa, ma anche in Italia, queste non sono opinioni). Ma già che ci siamo caliamoci sul piano che proponi. Guarda tabacon che un detenuto è un onesto limitatamente al periodo di detenzione: non sta infatti commettendo alcun reato (tralasciamo i casi limite). Quando uscirà, verrà nuovamente messo alla prova, come tutti noi del resto se "la Legge è uguale per tutti". Sia chiaro: non sto dicendo che un omicida o l'autore di corruzioni o di bancarotta fraudolenta e truffa (di questi a dire il vero ce ne sono ben pochi ristretti, di solito nelle carceri italiane sono tutti poveracci o ritenuti responsabili di reati in materia di droga) merita nel periodo in cui sta in gabbia la nostra stima e che siamo moralmente tenuti ad aiutarlo ad evadere o a pestare le forze dell'ordine che lo controllano; ovviamente non è questo il tema, lo dico qualora non fosse proprio proprio chiaro.
Ti informo inoltre del fatto, magari lo sai già, che c'è poi chi in Italia è in carcere pur essendo in attesa di giudizio (e sono veramente TANTI) e a guardare le statistiche di quanti fra questi vengono poi assolti dovresti quindi preoccuparti dei tanti "onesti", come dici tu, che stanno comunque scontando una pena detentiva. Mi rendo conto che ti sto chiedendo uno sforzo non da poco visto che tutto ciò richiede di vedere la situazione da un punto di vista ben diverso rispetto a quello a cui dimostri di essere abituato (ci sono passato anche io, "nessuno nasce imparato"; normalmente non si parla mai di carcere se non in termini demagocici/populisti e spesso nelle nostre famiglie da piccoli sentiamo discorsi tipo quelli a cui sembri alludere).
Poi non è una questione di "far star bene" quanto piuttosto un "porre termine ad un'illegalità" e a delle "violazioni dei Diritti Umani". Capisci qual è il tema in ballo?
Non entro nel merito dell'onestà delle vittime in oggetto, sto parlando dell'emergenza della situazione carceraria (illegale) italiana.
L'inizio si sente adatto per l'ambiente, umore depresso, la solitudine, irritabilità, può essere pensato al suicidio; lentamente adattarsi a, si sente che la vita è bella, i giorni in carcere non è così difficile!
questo qua chi cazzo è, un bot di google translate?
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