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> 8 Per Mille, A chi lo destinate?
Ale83
messaggio 12 Jun 2006 - 19:15
Messaggio #1


Magister Equitum
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Dove va a finire l'8 per mille?


Non tutti i fondi sono usati per opere di carità. Sul totale di 981 milioni di euro solo l'8% arriva al Terzo Mondo

Gli spot della CEI invitano a dare alla Chiesa Cattolica l'8 per mille del reddito, facendo credere che questi fondi vengano utilizzati per opere di carità in Italia e nel Terzo mondo. Ma è davvero così? Sembra proprio che la realtà sia diversa dalla pubblicità, lo conferma anche il sito ufficile della CEI per l'8 x mille (www.8xmille.it)

Sul totale di 981 milioni di euro, solo l'8% viene destinato al Terzo mondo.

Ecco come vengono destinati i fondi:
(cifre in milioni di €, del 2005)

Carità:
- nel Terzo mondo: 85
- nelle diocesi: 85
- nazionale: 30

Altro:
- stipendi dei sacerdoti: 315
- culto e pastorale nelle diocesi: 150
- Tribunali ecclesiastici: 7
- catechesi nazionale: 60
- pastorale nazionale: 49
- nuove chiese: 130
- vecchie chiese: 70

Tratto da: maurilive.blogspot.com
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Senbee Norimaki
messaggio 9 Oct 2007 - 14:58
Messaggio #2


Super Member
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E già che ci siamo, ecco un altro articolo ben documentato:

http://www.confronti.net/SERVIZI/il-prezzo...-tutto-il-resto

CITAZIONE
Il prezzo del Concordato. E di tutto il resto

«L’Italia è un paese cattolico». Quante volte ce lo siamo sentiti ripetere per giustificare un’attenzione particolare, da parte dello Stato, alle esigenze della Chiesa cattolica e una disparità di trattamento rispetto alle altre confessioni? Un inventario dei principali benefici di cui godono le istituzioni cattoliche in Italia.

Uno degli aspetti più problematici connessi a quel principio di laicità dello Stato che è assurto per merito della giurisprudenza della Corte costituzionale a momento supremo dell’ordinamento italiano, è certamente rappresentato dalle modalità di stanziamento e dalla quantità dei finanziamenti pubblici destinati alle Chiese ed agli istituti ad esse afferenti. Se, infatti, la laicità si configura non come indifferenza dello Stato davanti al fenomeno religioso, ma come garanzia di imparzialità ed equidistanza dei pubblici poteri dinanzi alle comunità religiose strutturate, in un contesto caratterizzato da pluralismo confessionale e culturale, allora il modo con cui viene strutturato il loro finanziamento pubblico e articolato il quadro delle agevolazioni fiscali loro concesse diviene del tutto centrale.

Quanto questo principio di equidistanza fatichi ad affermarsi in concreto nell’orizzonte del nostro paese lo dimostrano non solo la ritrosia ad accettare senza polemica le numerose sentenze della magistratura amministrativa con cui, per il rispetto delle altrui sensibilità religiose, è stato stabilito che non fossero applicabili le norme di epoca fascista che imponevano alla collettività l’ossequio alle manifestazioni della religione di Stato, o ancora il perdurare di formule cerimoniali che continuano a prevedere la partecipazione di alti prelati alle manifestazioni dei vari livelli istituzionali, ma anche e soprattutto il quadro complessivo dei finanziamenti pubblici destinati a vantaggio delle strutture della religiosità dominante, finanziamenti che, lungi dal poter essere annoverati solo come una congrua corresponsione a fronte di una indiscutibile funzione sociale da esse esercitata, arrivano perlopiù a configurare situazioni di anacronistico privilegio.

Una Chiesa «più uguale» delle altre

Anche la più superficiale delle analisi consente infatti di rilevare la considerevole disparità di trattamento che lo Stato riserva alla Chiesa cattolica rispetto alle altre confessioni religiose beneficiarie di Intesa, laddove mentre le seconde possono godere pressoché solo dei vantaggi derivanti dalle rispettive Intese – dagli sgravi fiscali alla possibilità di essere ammesse al riparto dei fondi dell’otto per mille delle dichiarazioni dei redditi – l’universo cattolico italiano trae beneficio dalle misure legislative più disparate, un coacervo di disposizioni non solo di natura concordataria che rende gravoso anche solo individuare in modo del tutto approssimativo il totale dei fondi pubblici che a vario titolo ad esso sono destinati.

Furono gli stessi costituenti ad ammettere in modo implicito, sia pure in un contesto votato al pluralismo e alla piena tutela della libertà di coscienza e di religione, una diversità di attenzione nei confronti della Chiesa cattolica; con l’articolo 7 della nostra Carta costituzionale, la cui approvazione fu resa possibile dall’appoggio del Partito comunista di Togliatti, si volle «costituzionalizzare» non già i Patti lateranensi, pur richiamati come fondamento dei rapporti bilaterali, ma la modalità di definizione dei rapporti Stato-Chiesa, e ciò in considerazione del peculiare ruolo riconosciuto alla gerarchia ecclesiastica vaticana e alla fede cattolica nella storia e nella coscienza del popolo italiano.

Per un immanente senso di colpa o di minorità nei confronti della cattolicità, sfigurata dalla privazione violenta del suo potere temporale ad opera delle truppe italiane, o per un sincero sentimento di riconoscenza verso l’universo culturale e religioso da essa rappresentato, o ancora per un tornaconto talvolta di infimo livello che denota quantomeno scarsa lungimiranza, la classe politica italiana è sempre stata incline a manifestare tendenze risarcitorie nei confronti delle autorità vaticane: già la cosiddetta «legge delle guarentigie», approvata nel maggio del 1871 e peraltro mai compiutamente attuata per la ferma opposizione pontificia, pur concepita nel solco del pensiero di Cavour, che era fautore di una netta separazione dei due ambiti, volle conservare a favore della Santa Sede la dotazione annua, già iscritta nel bilancio dello Stato ecclesiastico, di 3.225.000 lire. Nel 1929 fu poi Mussolini, desideroso di accreditarsi agli occhi dell’opinione pubblica italiana come l’uomo capace di ricomporre la frattura dei rapporti fra lo Stato e la Chiesa, a promuovere la stipula dei Patti lateranensi, strumento che, nella parte relativa alla convenzione finanziaria, disponeva l’obbligo per l’Italia di versare alla Santa Sede 750 milioni di lire in contanti e un miliardo di lire in titoli azionari quale risarcimento per gli ingenti danni subiti a seguito della perdita del Patrimonio di San Pietro, mentre nel Concordato accordava tutta una serie di esenzioni ai numerosi istituti afferenti l’universo del cattolicesimo italiano, tale da garantirgli negli anni immediatamente successivi una enorme accumulazione di beni e risorse sull’intero territorio nazionale.

I molti privilegi ancora in vigore

Quanto ancora oggi pesi sulla vita del paese, condizionandone scelte e visioni, questo legato culturale, sociale e politico esercitato dalla Chiesa cattolica e dall’episcopato italiano è sotto gli occhi di tutti. Meno noto è, viceversa, il quadro dei finanziamenti di cui attualmente il mondo cattolico continua a beneficiare. Per tracciarne una sintesi che, senza alcuna pretesa di esaustività ed escludendo i fondi destinati al sostegno degli organismi cattolici di carità o impegnati nella cooperazione allo sviluppo, dia conto delle principali misure di sostegno finanziario che la legislazione italiana, a livello statale, ha garantito alla Chiesa cattolica e agli enti ad essa legati in un anno recente preso a riferimento, è possibile avvalersi del documento di contabilità pubblica che reca gli impegni di spesa per l’esercizio finanziario 2004, nonché delle misure concretamente stabilite dalla Finanziaria 2004 e da altre disposizioni normative approvate nel corso del 2003 e degli anni precedenti.

Occorre preliminarmente diversificare le misure di sostegno economico che derivano, in modo più o meno diretto, dal Concordato, ovvero da quell’accordo bilaterale che, firmato nel 1984 e recepito nel nostro ordinamento dalla legge 121/1985, nel rinnovare i Patti lateranensi costituisce ad oggi la fonte principale di disciplina dei rapporti fra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica, dalle altre misure che sembrano, viceversa, non direttamente correlate al contenuto di quell’accordo.

Otto per mille e finanziamenti alle scuole private

Il principale degli strumenti di derivazione concordataria è certamente rappresentato dall’otto per mille del gettito derivante dalle dichiarazioni dei redditi: nel 2004 la Chiesa cattolica si è vista destinare oltre 310 milioni di euro per scelta espressa dei contribuenti italiani, beneficiando altresì del riparto successivo dei fondi relativi alle scelte non espresse per ulteriori 472.594.000 di euro, per un totale complessivo di oltre 782.700.000 euro. A questa cifra deve essere aggiunta anche la quota dell’otto per mille che, destinata dai contribuenti italiani allo Stato, è stata da quest’ultimo stornata, sotto forma di finanziamento per la conservazione dei beni culturali, alla Chiesa cattolica attraverso opere di ristrutturazione di chiese, conventi, università confessionali, istituti di cultura religiosa, e che ammonta a 9.410.989 euro, su di un totale di 20.517.592 euro a disposizione dello Stato.

In materia di insegnamento della religione cattolica, altra voce di derivazione concordataria, occorre annoverare, come previsioni di spesa per l’anno 2004, 477.735.207 euro; a questa cifra deve altresì aggiungersi il costo relativo alla equiparazione a tutti gli effetti degli insegnanti di religione cattolica agli altri docenti di ruolo, disposto dalla legge 186/2003 e pari a 19.289.150 euro.

Vi è quindi il tema, annoso e controverso, della parità scolastica. Per garantire agli studenti delle scuole private le medesime condizioni godute da quelli delle strutture pubbliche, lo Stato ha impegnato nel 2004, ai sensi della legge 62/2000, 30 milioni di euro, erogabili sotto forma di buoni scuola; di questa cifra si può stimare, stando ai dati del Centro studi scuole cattoliche e relativi al numero degli alunni delle scuole cattoliche sul totale degli studenti delle scuole non statali, che almeno il 59% sia andato a vantaggio delle strutture cattoliche, per una somma pari a circa 17.700.000 euro.

Ma lo Stato, nonostante l’articolo 33 della Costituzione preveda che la libertà degli enti e dei privati di istituire scuole ed istituti di educazione debba essere pienamente garantita ma senza oneri per la collettività, non si limita al finanziamento dei soli buoni scuola, ma stanzia annualmente ed in modo diretto anche fondi per le scuole non statali; nel 2004, ai sensi di una circolare del Ministero per l’Istruzione, l’università e la ricerca, il totale di detti fondi è stato pari a 527.474.474 euro, il 49% dei quali può stimarsi essere stato destinato alle scuole cattoliche, per un ammontare di 258.462.492 euro.

Aiuti diretti e indiretti: Ici, oratori, ospedali, università...

Sempre di derivazione concordataria, anche se ufficialmente prevista solo dalla legge 222/1985 nonché dal D.P.R. 917/1986, risulta essere la previsione circa la deducibilità fiscale delle donazioni private a favore della Chiesa cattolica. Stando alle indicazioni fornite dall’Istituto centrale per il sostentamento del clero cattolico, si può arrivare a stimare che nel 2004 il totale delle offerte volontarie destinate ai prelati cattolici sia stato pari a 18 milioni di euro. Calcolando in modo approssimativo il mancato introito fiscale da parte dello Stato su questa cifra, ricorrendo per il calcolo del prelievo dovuto ad una fascia di contribuenti donatori dal reddito medio lordo compreso fra i 20.000 ed i 32.600 euro annui, si può arrivare ad una stima, per il solo 2004, di 5.580.060 euro.

Da ultimo, fra gli strumenti in qualche modo riferibili al quadro concordatario e concretamente previsti dalla legge 222/1985, vi è il Fondo per la costruzione degli edifici di culto che, per il 2004, è stato pari a 1.807.599 euro.

L’esame delle altre disposizioni che, pur non riferibili al quadro tracciato dal Concordato, stabiliscono misure economiche a favore del mondo cattolico, inizia da alcune munifiche leggi del 2003. In particolare la legge 206/2003 – approvata a larghissima maggioranza – ha previsto il finanziamento diretto degli oratori parrocchiali, riconoscendone esplicitamente la valenza sociale, per 2.500.000 euro annui. A sua volta, la legge 244/2003, nel ratificare e dare esecuzione ad una Convenzione sottoscritta fra la Santa Sede e la Repubblica italiana nel 2000, ha disposto l’erogazione, per il 2004, di 9.397.000 euro per la sicurezza sociale dei dipendenti vaticani e dei loro familiari.

Se poi la legge 293/2003 ha concesso un contributo aggiuntivo per il 2004 di 1.500.000 euro in favore dell’Istituto di studi politici san Pio V di Roma, anche la Finanziaria 2004 (legge 350/2003) non è stata avara di provvidenze per la Chiesa: essa ha tra l’altro previsto il finanziamento per 5 milioni di euro dell’ospedale Casa Sollievo della sofferenza di San Giovanni Rotondo, il rifinanziamento per 20 milioni di euro dell’Università campus-biomedico (Cbm), e, curioso a sapersi, l’integrale esborso per la fornitura dei Servizi idrici dello stato della Città del Vaticano per un importo, limitatamente al 2004, pari a 25.000.000 di euro.

Delle quattordici università non statali ammesse al finanziamento pubblico ai sensi della legge 243/1991, che complessivamente hanno potuto beneficiare per il solo 2004 di uno stanziamento pari a 124.149.000 euro, si può stimare che le cinque università cattoliche abbiano percepito fondi per 44.338.929 euro.

Fra i contributi pubblici forse meno conosciuti a favore del mondo cattolico vi è poi l’onere per i circa 200 stipendi erogati a favore dei cappellani militari presenti nel Paese, onere che, previsto dalla legge 512/1961 a totale carico dello Stato, si può stimare essere stato, per il solo 2004 e stando alla rielaborazione dei dati rinvenibili sul sito web dell’Ordinariato militare in Italia, a circa 8 milioni di euro.

In materia previdenziale, ai sensi delle leggi 791/1981 e 903/1973, è da annoverare anche il Fondo di previdenza per il clero, che, per il solo 2004 e relativamente ai fondi erogati a favore della componente cattolica, può attendibilmente stimarsi in 6.713.253 euro.

Da ultime, relativamente al 2004, sono da ricordare anche misure che, destinate al finanziamento di strutture legate all’organizzazione ecclesiastica o all’esenzione di particolari soggetti dal pagamento dei tributi dovuti, impongono un ulteriore onere economico per lo Stato, ma che, stanti gli attuali strumenti di rendicontazione pubblica, non possono essere quantificabili. Oltre alle esenzioni dall’Iva e dalle dichiarazioni dei redditi per gli enti ecclesiastici – di cui rispettivamente al dpr 633/1972 e al dpr 917/1986 – sono in tal senso da annoverare soprattutto i fondi pubblici erogati a favore degli ospedali, delle strutture di ricovero e dei policlinici cattolici; si tratta certamente di una cifra davvero ragguardevole, dal momento che costituiscono una parte non secondaria del totale dei finanziamenti pubblici destinati alla sanità convenzionata (non necessariamente di tipo confessionale), che, per il 2004 assommava a circa 1.500 miliardi di euro.

Se il prospetto dei finanziamenti pubblici ha dovuto considerare, per esigenze di equilibrio e di completezza, il 2004 come anno di riferimento, le misure disposte da leggi successive a questa data contribuiranno piuttosto ad aumentare la cifra totale degli aiuti pubblici destinati alla Chiesa cattolica, che non a diminuirne la portata. Solo per limitarsi agli ultimi – molto discussi – provvedimenti, l’esenzione totale degli immobili ecclesiastici dal pagamento dell’Ici (Imposta comunale sugli immobili) – disposta da una norma interpretativa contenuta nella legge 248/2005 – comporterà, stanti le previsioni dell’Associazione nazionale dei comuni italiani (Anci), un ammanco per le già magre casse degli enti comunali per 700 milioni di euro, a quasi esclusivo vantaggio della Conferenza episcopale italiana.

Alla prodigalità dello Stato nei confronti della Chiesa cattolica, si è peraltro aggiunto anche il particolare favore con cui le Regioni, pur gravate da incipienti deficit di bilancio, hanno continuato a dispensare a suo favore contributi pubblici sotto forma di ulteriori buoni scuola o di generosi finanziamenti al comparto della sanità convenzionata.

Non è il caso di tracciarne qui un profilo completo; resta tuttavia l’interrogativo, del tutto legittimo e di certo non mosso da rigurgiti anticlericali, se lo Stato abbia inteso sostenere in un modo tanto generoso la Chiesa perché consapevole e compartecipe della missione spirituale e sociale di questa o abbia viceversa, abdicando largamente ai propri doveri di solidarietà anche nei confronti di quei cittadini che non si riconoscono in quel quadro di valori, continuato ad alimentare le casse vaticane per ragioni di convenienza politica. Se un’azione di Governo ed un quadro legislativo improntati a ragioni di equidistanza e di imparzialità rispetto ai fenomeni religiosi possono secondo taluni essere ricondotti a forme di inaccettabile relativismo etico, è certo che lo stretto sostegno economico e la contiguità con i poteri pubblici di cui i numerosi istituti cattolici beneficiano rischiano letteralmente di svuotare di significato quel principio, faticosamente desunto in via giurisprudenziale, della laicità dello Stato, condizione essenziale perché la libertà di tutti possa essere pienamente rispettata.

E non sembra valere la considerazione che il cattolicesimo resti la religione largamente dominante nel paese per giustificare acriticamente questo copioso fiume di denaro, dal momento che è lecito presumere come sia proprio la scarsa conoscenza dei meccanismi e dei volumi di finanziamento di cui gode la Chiesa cattolica a non indurre una seria riflessione sull’argomento da parte dell’opinione pubblica. Una riflessione che, alla vigilia delle elezioni politiche, nessuno degli schieramenti candidati alla guida del paese avrà probabilmente interesse a sollevare.

Gianluca Polverari


Messaggio modificato da Senbee Norimaki il 9 Oct 2007 - 15:07
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