IL TEMPO
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Scienze

Aristotele, S. Agostino e Bergson

Aristotele filosofo greco (Macedonia 384-322 a.C.).

Nel IV libro della Fisica (Fisica, IV, 10, 218 a) Aristotele tratta l' annosissimo problema del tempo, lasciatogli in eredità da Platone: si potrebbe sostenere, dice, che il tempo non esista, dato che è composto di passato e di futuro, di cui l'uno non esiste più quando l'altro non esiste ancora. Egli però respinge questa teoria. Il tempo, dice, è moto che ammette una numerazione. Potremmo anche chiedere, continua, se il tempo possa esistere senza l'anima, dato che non ci può esser nulla da contare se non c'è nessuno che conta, e il tempo implica la numerazione. Sembra che egli pensi al tempo come a un determinato numero di ore, di giorni e di anni. Alcune cose, aggiunge, sono eterne, nel senso che non sono nel tempo; probabilmente pensa a cose del tipo dei numeri o delle verità matematiche: che 2 + 2 = 4 é sempre stato così e sempre sarà così , anche con un improvviso annichilimento della realtà.

Egli parte dal concetto di movimento e scrive: "Poiché il mosso si muove da un punto verso un altro punto, e ogni grandezza è continua, il movimento segue alla grandezza. Infatti, poiché la grandezza è continua, è continuo anche il movimento; e per il fatto che lo è il movimento, è continuo anche il tempo, giacché la quantità del tempo trascorso è proporzionata a quella del movimento. [...]Pertanto, quando noi percepiamo l’istante come unità e non già come un prima e un poi nel movimento e neppure come quell’entità che sia la fine del prima e il principio del poi, allora non ci sembra che alcun tempo abbia compiuto il suo corso, in quanto non vi è neppure movimento. Quando, invece, percepiamo il prima e il poi, allora diciamo che il tempo c’è. Questo, in realtà, è il tempo: il numero del movimento secondo il prima e il poi." (Aristotele, Fisica, D,10 e G,11)

C'è sempre stato il movimento, e sempre ci sarà, perchè non ci può esser tempo senza movimento, e tutti ammettono che il tempo sia increato. Su questo punto, i seguaci cristiani di Aristotele furono obbligati a dissentire da lui, dato che la Bibbia ci dice che l'universo ebbe un inizio. Il concetto di eternità, che é centrale in Aristotele, non può che essere disapprovato dai Cristiani, la cui teoria consiste nel fatto che Dio decise di creare il mondo ad un certo momento; ne consegue che il mondo non é eterno, anzi é destinato a perire. D'altronde, spiega Aristotele, le sfere dei pianeti non fanno nient'altro che imitare nel loro moto circolare l'eternità di Dio: quale moto rappresenta meglio la realtà, se non quello circolare? Il moto circolare infatti non ha inizio e non ha fine, arriva da dove é partito. Le sfere rappresentano l'eternità, o meglio, un'eternità speciale. La ciclicità degli enti celesti detta l'alternarsi delle stagioni.

Aristotele scrive: "Che dunque o non esista affatto, o che esista a stento e in modo oscuro, si potrebbe supporre da queste considerazioni. In effetti, una parte di esso è stata e non è, una parte sarà e non è ancora." (Fisica, IV, 10, 217 b,34). Sosteneva che il tempo è la condizione del prima e del dopo e l'anima effettua l'operazione del contare. Oggi diremmo la memoria.

(Fisica, IV, 11, 219b b, 2)
Pertanto il tempo non è movimento, ma il movimento lo possiede in quanto misura. [..] il tempo è ciò che è numerato e non ciò con cui misuriamo.
E come il movimento è di volta in volta sempre diverso, così anche il tempo [..].

Sant'Agostino, il più celebre dei padri della chiesa, visse tra il 354 e il 430. Le opere più importanti sono: De Doctrina Cristiana, De Trinitate, De Genesi ad litteram, Le Confessioni, De Civitate Dei

Sant'Agostino nell'undicesimo libro delle Confessioni si occupa di questo problema: se la creazione è avvenuta davvero come afferma il primo capitolo della Genesi, e come essa dovrebbe essere accaduta dal nulla.
Egli sostiene che il mondo non fu creato da una materia qualsiasi, ma dal nulla. Dio creò la sostanza, non soltanto l'ordine e la disposizione delle cose, la Genesi a tal proposito è esplicita.
La domanda che lo tormenta è: "Perché il mondo non fu creato prima?"
Perché non c'era alcun "prima". Il tempo fu creato quando il mondo fu creato. Dio è eterno, nel senso che è senza tempo; in Dio non c'è né prima né dopo, ma solo un eterno presente. L'eternità di Dio è libera da ogni rapporto con il tempo.
Egli non precedette la sua creazione del tempo, perché ciò implicherebbe che Egli stesse nel tempo, mentre Egli sta eternamente al di fuori della corrente del tempo, ciò conduce Sant'Agostino alla sua teoria del tempo.

"Che cosa è allora il tempo?" si chiede.
"Se nessuno me lo chiede, lo so; se cerco di spiegarlo a chi me lo chiede, non lo so"
La via che Agostino trova è quella di dire che il passato ed il futuro possono essere pensati solo come presente: "il passato" come memoria, e "il futuro" come attesa, e la memoria e l'attesa sono entrambe fatti presenti.
Scrive: "Il presente delle cose passate è la memoria; il presente delle cose presenti è la vista; e il presente delle cose future è l'attesa." (Libro XI, capitolo 20).Sa di non avere risolto tutte le difficoltà, con questa teoria.
"La mia anima aspira a conoscere questo enigma terribilmente imbrogliato e prega Dio di illuminarlo, assicurandolo che il suo interesse per il problema non proviene da vana curiosità. Io ti confesso, o Signore, di ignorare ancora che cosa sia il tempo."
La svolta avviene quando intuisce che il tempo è soggettivo: il tempo risiede nella mente umana che attende, considera e ricorda. Ne consegue che non ci può essere tempo senza un essere creato (capitolo 30) e che parlare del tempo prima della creazione è insensato. Agostino diede nuova forma al tempo, nessuna definizione di tempo potrà più ignorare Agostino.

Henry Bergson filosofo francese (Parigi 1859-1941), nel 1927 ottenne il premio Nobel. Le sue opere più importanti furono: Saggio sui dati immediati della coscienza (1889), Materia e memoria (1896), Il riso (1900), L’evoluzione creatrice (1907), Durata e simultaneità (1902), Le due fonti della morale e della religione (1932)

Bergson con le sue teorie aveva cercato di recuperare quei valori spirituali che il positivismo sembrava aver dimenticato con la crisi della ragione fra '800 e '900; una delle concezioni più originali di Bergson, che rappresenta anche uno dei fondamenti del suo sistema filosofico, e che influenzerà tutti i campi della cultura, dalla letteratura all'arte (il futurismo per esempio), è la distinzione fra il tempo della scienza ed il tempo della vita.
Infatti il tempo spazializzato della fisica trova la sua immagine in una collana di perle (i vari momenti della fisica), tutte eguali e distinte fra di loro, differenti solo quantitativamente, mentre l'immagine del tempo della durata (o della vita) è il gomitolo di filo (o la valanga), che continuamente muta e cresce su se medesimo, con momenti diversi anche qualitativamente (tant'è vero che nel linguaggio comune si dice ad esempio che cinque minuti possono sembrare, talora, «una eternità»). Inoltre il tempo della fisica e dell'osservazione scientifica è invertibile, poiché un esperimento può essere ripetuto ed osservato un numero indefinito di volte, mentre il tempo della psiche è fatto di momenti irripetibili. Infatti il tempo della coscienza (durée réelle, temps concret) è costituito da momenti che si fondono l’uno con l’altro in un processo continuo di crescita, alla maniera di una valanga. Ciascun momento, unendosi alla durata fino ad ora già trascorsa, dà origine a qualcosa che prima non esisteva ed è eterogeneo rispetto al passato. Nella durata non ci possono essere due momenti uguali, se non altro perché ciascuno di essi si fonde alla durata già trascorsa, che, a causa del trascorrere stesso del tempo, è differente per ciascun momento. La durata interna alla coscienza è, dunque, costituita da momenti che sono l’uno all’altro eterogenei, ma non sono reciprocamente separati.
Questa conservazione totale è nello stesso tempo una creazione totale, giacché in essa ogni momento, pur essendo il risultato di tutti i momenti precedenti, è assolutamente nuovo rispetto ad essi. «Per un essere cosciente, - dice Bergson, - esistere significa mutare, mutare significa maturarsi, maturarsi significa creare indefinitamente se stesso».
Coloro che ritengono che ogni azione spirituale, come ogni altro fatto della natura, sia necessariamente determinata dalle sue cause, si fondano su un concetto del tempo che non si può applicare alla vita spirituale. Immaginano cioè il tempo secondo lo schema spaziale, come fa la scienza, perciò esteriorizzano l'azione e il motivo dell'azione considerandoli quasi come due cose esterne l'una all'altra e di cui una agisca sull'altra.

Il tempo come durata
(da L'evoluzione creatrice, in H. Bergson, Le opere, trad. di P. Serini, UTET, Torino 1971)

Chi esamini la vita psichica nella sua effettualità [...] si accorgerà subito che il tempo ne è la stoffa stessa.

Non c'è, del resto, stoffa più resistente o più sostanziale. Infatti, la nostra durata non è il susseguirsi di un istante a un altro istante: in tal caso esisterebbe solo il presente, il passato non si perpetuerebbe nel presente e non ci sarebbe evoluzione né durata concreta. La durata è l'incessante progredire del passato che intacca l’avvenire e che, progredendo, si accresce. E poiché si accresce continuamente, il passato si conserva indefinitamente. La memoria, come abbiamo tentato di dimostrare, non è la facoltà di classificare ricordi in un cassetto o di scriverli su di un registro. Non c'è registro, non c'è cassetto; anzi, a rigor di termini, non si può parlar di essa come di una "facoltà": giacché una facoltà funziona in modo intermittente, quando vuole o quando può, mentre l'accumularsi del passato su se stesso continua senza tregua. In realtà, il passato si conserva da se stesso, automaticamente. Esso ci segue, tutt'intero, in ogni momento: ciò che abbiamo sentito, pensato, voluto sin dalla prima infanzia è là, chino sul presente che esso sta per assorbire in sé, incalzante alla porta della coscienza, che vorrebbe lasciarlo fuori. La funzione del meccanismo cerebrale è appunto quella di ricacciare la massima parte del passato nell'incosciente per introdurre nella coscienza solo ciò che può illuminare la situazione attuale, agevolare l'azione che si prepara, compiere un lavoro utile. Talvolta qualche ricordo non necessario riesce a passar di contrabbando per la porta socchiusa; e questi messaggeri dell'incosciente ci avvertono del carico che trasciniamo dietro a noi senza averne consapevolezza. Ma, se anche non ne avessimo chiara coscienza, sentiremmo vagamente che il passato è sempre presente in noi. Che cosa siamo, infatti, che cos'è il nostro carattere se non la sintesi della storia da noi vissuta sin dalla nascita, prima anzi di essa, giacché portiamo con noi disposizioni prenatali? Certo noi pensiamo solo con una piccola parte del nostro passato; ma desideriamo, vogliamo, agiamo con tutto il nostro passato, comprese le nostre tendenze congenite. Il nostro passato ci si rivela, dunque, nella sua interezza, con la pressione che esercita su di noi e sotto forma di tendenza, benché solo una piccola parte di esso si converta in rappresentazione chiara e distinta.

Conseguenza di questa sopravvivenza del passato è l'impossibilità, per una coscienza, di passare due volte per l'identico stato. Le circostanze possono ben rimanere le stesse: la persona su cui agiscono non è più la stessa, perché la colgono in un momento nuovo della sua storia. La nostra personalità che va via via formandosi mediante il progressivo accumularsi dell'esperienza, muta continuamente; e però nessuno stato di coscienza, anche se resta identico alla superficie, si ripete mai in profondità. Questo perché la nostra durata è irreversibile: per poter riviverne anche un momento solo bisognerebbe annullare il ricordo di tutti i momenti successivi.

Il tempo astratto della scienza
(da L'evoluzione creatrice, in H. Bergson, Le opere, trad. di P. Serini, UTET, Torino 1971)

Tutte le nostre opinioni intorno agli oggetti, tutte le nostre operazioni sui sistemi che la scienza isola, si fondano sull’idea che il tempo non incide su di essi.[...]
Il tempo astratto "t", attribuito dalla scienza a un oggetto materiale o a un sistema isolato, consiste solo in un numero determinato di simultaneità o, più in generale, di corrispondenze, il cui numero resta invariato, qualunque sia la natura degli intervalli che separano le corrispondenze. Quando si parla della materia bruta, si astrae sempre da tali intervalli; o, se si prendono in considerazione, è solo per introdurvi nuove corrispondenze, tra le quali potrà pur sempre accadere tutto ciò che si vorrà. Il senso comune, che si occupa solo di oggetti staccati — come la scienza, che considera solo sistemi isolati —, si colloca alle estremità degli intervalli, e non lungo il loro corso. E però, se, per ipotesi, il corso del tempo si svolgesse con una velocità infinita, sì che tutto il passato, il presente e l’avvenire degli oggetti materiali o dei sistemi isolati potesse squadernarsi in un sol colpo nello spazio, non vi sarebbe, tuttavia, nulla da cambiare né nelle formule dello scienziato né nello stesso linguaggio del senso comune. Il numero "t" non muterebbe significato: servirebbe sempre a misurare lo stesso numero di corrispondenze tra gli stati degli oggetti o dei sistemi e i punti di quella linea già tracciata che è il «corso del tempo».


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